Sulla Chiesa di S. Ambrogio

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La festa di S. Ambrogio — Le tombe degli artisti fiorentini — L’identificazione della casa di Mino da Fiesole

Da Firenze… a Firenze

Ricordi, leggende, aneddoti

di Cesare Torricelli (direttore de L’Osservatore Fiorentino)

Editrice Fiorentina , 1929

 

La festa di Sant’Ambrogio ci porge l’occasione di trattenerci ad illustrare le tombe che ebbero in quella chiesa famosi artisti, fiorentini per nascita o per elezione.

Per il corso di vari secoli nè una lapide, nè un monumento richiamarono l’attenzione dei visitatori desiderosi di individuare dove furono deposte le spoglie dei maestri delle arti belle.

Nel restauro del 1673, quando la chiesa antica subì un nuovo assetto decorativo, molte epigrafi e stemmi familiari vennero rimossi dal luogo dove si trovavano e murati nel piccolo cortile a sinistra della chiesa e che serve d’ingresso all’attiguo convento. Fu quella l’epoca della dispersione di ogni ornamento funerario.

Pietro Franceschini, l’erudito e modesto scrittore a tutti noto, circa venti anni or sono, propose molto opportunamente che sulle tombe degli artisti sepolti in Sant’Ambrogio venissero poste delle pic­cole iscrizioni e che fosse collocato nella parete prossima all’ingresso un grande ricordo marmoreo.

La R. Accademia di Belle Arti ed il Circolo degli Artisti fecero buona accoglienza all’iniziativa del valente cultore di cose fiorentine, ed il 26 dicembre del 1901 veniva inaugurata l’epigrafe commemorativa dettata dallo stesso Franceschini in questi termini :

 A ricordare che in questo tempio — stanno sepolti gli artefici immortali — Mino da Poppi detto da Fiesole — Andrea del Verrocchio — Simone del Pollaiolo detto «il Cronaca» — Francesco Granacci — e gli eccellentissimi maestri in ogni ramo dell’arte usciti dalla famiglia Del Tasso — l’Accademia Fiorentina delle Belle Arti — e il Circolo degli Artisti — concordi nella venerazione — posero questo marmo.

 L’omaggio reso a quei valenti fu degno coronamento della prima serie di restauri compiuti per iniziativa dello zelante parroco di quell’epoca, sacerdote Omero Orzalesi.

Cominciò di poi un secondo periodo di completamento e fu diretto al ripristino dell’antica sagrestia della chiesa. Giovanni Poggi accertò che l’artistico lavabo era opera di Francesco di Simone da Fiesole, curò il restauro della pittura dì Raffaellino del Garbo e consentì altri lavori necessari.

In pari tempo Herbert Horne — il noto critico inglese che lasciò a Firenze il suo museo di Via dei Benci — illustrò nel The Burlington Magazine di Londra che doveva essere attribuita al Baldovinetti la pittura raffigurante la Vergine circondata da San Giovanni, S. Lorenzo, S. Caterina e S. Ambrogio.

Dando uno sguardo alle singole tombe degli ar­tisti vediamo sul pavimento presso il primo altare a destra una piccola lapide di marmo con la seguen­te iscrizione :

«Simone del Pollaiolo — detto il Cronaca — architetto — fu sepolto coi suoi — il 22 Settembre 1508».

Il Vasari ci conferma che quest’artista « furono ratamente sepolto nella chiesa di Santo Ambrogio di Fiorenza nel MDIX » e che gli fu fatto quest’epitaffio :

Vivo e mille e mille anni ancora

Mercè de’ vivi mici palazzi e templi

Bella Roma vivrà l’alma mia Flora.

Dalla parte opposta troviamo la tomba del Verrocchio, il valente scultore morto a Venezia nel 1448, ove erasi recato per compiere il monumento a Bartolomraeo Colleoni.

Lorenzo di Credi fece trasportare le ossa del Ver-rocchio a Firenze e le depose in Sant’Ambrogio nella tomba di ser Michele di Gioire. L’iscrizione primitiva era del seguente tenore: « Sepulcrum Micaelis de’ Cionis et suorum, Andrea Verrocchii Dominicis filii Micaelis qui obiit Venetiis 1488». Tale epigrafe andò perduta in uno dei vari restauri che trasformarono la chiesa e perciò fu sostituita con questa:

 « Qui la famiglia Cioni — accolse fra ì suoi — Andrea del Verrocchio ».

Le tombe degli undici artisti appartenenti alla famiglia dei Del Tasso si trovano collocate nel tratto di pavimento presso la statua in legno di San Seba­stiano martire scolpita da Leonardo Del Tasso.

Il Vasari, illustrando la vita di Andrea del Monte S. Savino, scrive : «Furono suoi discepoli Giro­lamo Lombardo, detto Simone Oioli fiorentino, Domenico del Monte Sansavino, che morì dopo poco di lui, Lionardo del Tasso fiorentino che fece in Sant’Ambrogio di Firenze sopra la sua sepoltura un San Bastiano di legno».

Il Manni parlando dei Del Tasso scrive che questa famiglia prese questo cognome da una località chiamata Tasso «nel contado di San Giovanni Valdarno di sopra e come intendenti più degli altri della professione facevano buona figura presso la casa dei Medici, laonde lodati vennero dai contemporanei scrittori».

Undici sono i Del Tasso sepolti in S. Ambrogio e cioè : Niccolò, Giovan Battista, Giuliano, Domenico, Marco, Clemente, Francesco, Zanobi, Leonardo e Giovan Battista; i due ultimi figli, proba­bilmente di Leonardo.

L’Orzalesi osserva che Domenico, Marco e Giuliano, che allora erano tra i primi maestri di legname capaci di lavorare ad intaglio, eseguirono sul disegno del Cecca il primo carro della Zecca per le feste di San Giovanni, distrutto al tempo del Governo francese.

Clemente nel 1501 è annoverato fra i maestri chiamati a giudicare del luogo più adatto per col­locare la statua del David di Michelangiolo.

Bernardo per ordine del Duca Cosimo architettò nel 1548 la loggia del Mercato Nuovo.

I Del Tasso avevano da prima la bottega nel popolo di Sant’Ambrogio, non lontana dalla via degli  Scarpentieri, ora via Pietrapiana, e più tardi nella piazza di San Firenze.

L’iscrizione che si vede in Sant’Ambrogio ri­sale al 1470 e porta incisa l’arme della famiglia per le ceneri di Domenico Del Tasso e dei discen­denti. Essendo stata guastata ne fu curato il restauro nel 1901 dell’Opificio delle pietre dure di Firenze.

La tomba del Granacci porta pure uno stemma gentilizio in cui si vede una capra circondata da fiordalisi e sormontata dall’iscrizione in latino : «S. Andree Marci Granacci et suor 1496 . Questo stemma fu qui collocato togliendolo dal cortiletto laterale dove era stato murato insieme a tanti altri per il restauro e trasformazione della chiesa nel 1673. Oggi si legge la seguente iscrizione : Francesco Granacci pittore — qui nella tomba degli avi — ebbe sepultura — nell’anno 1544. L’epitaffio composto per questo ottimo discepolo del Ghirlandaio, secondo si legge nella prima edizione delle « Vite », fu questo :

Onorato per me l’arte fa molto Et io per lei con fama sempre vivo Che se ben del mio corpo restai privo La lode e il nome non fi a mai sepolto.

Prima di chiudere questa rassegna dobbiamo trattenerci un po’ sulla tomba di Mino, che è a sinistra di chi guarda l’aitar maggiore, dinanzi alla balaustra della cappella del S. Miracolo. L’epigrafe che si legge è semplicissima : Mino da Poppi — detto da Fiesole — scultore — ebbe qui sepoltura — il 12 luglio 1484.

Secondo il Vasari, Mino «fu nella calonaca di Fiesole dagli amici e parenti suoi onorevolmente seppellito», ma questa notizia è errata, e forse è dovuta al fatto che in S. Maria in Campo fu seppeltito il figliolo primogenito di Mino con l’epigrafe che dice: «Julianus Mini sculptoris primus et genitus 1466».

 Circa la dimora del famoso scultore nella parrocchia di S. Ambrogio, l’Angeli scrive : « Mino arricchitosi per nuovi lavori abbandonò la casa datagli in affitto dai frati della Badia, posta nel Quartiere di San Giovanni « ed acquistò per suo abitare una casa posta in popolo di S. Ambrogio e nella strada maestra di Porta alla Croce », dove morì, secondo resulta da una descrizione catastale. In seguito ad alcuni disegni murali, scoperti in occasione di un restauro ed alle indicazioni del defunto parroco di Sant’Ambrogio, sac. Omero Orzatesi, l’illustre senatore prof. Alessandro Chiappelli accertò che la casa di Mino era quella segnata col numero 7 in via Pietrapiana.

Prima di chiudere questo capitolo ci piace aggiungere che Sant’Ambrogio si recò in Firenze nel secolo IV e vi rimase dalla primavera del 393 all’agosto del 394, quando la comunità dei primitivi cristiani era ancora assai scarsa.

Le notizie che andiamo riferendo hanno l’importanza di scaturire non da una tradizione popolare, ma essere state convalidate da un narratore autorevole come Paolino diacono che divenne poi vescovo di Nola.

Da questi sappiamo che S. Ambrogio, recatosi da Milano a Bologna e da questa città a Faenza, ricevette l’invito di venire a Firenze, a consacrare la prima chiesa di San Lorenzo, cioè quella preesistente all’attuale basilica medicea che si può a buon diritto chiamare ambrosiana.

La narrazione lasciata da Paolino diacono di Milano stabilisce chiaramente che Ambrogio trovandosi a Faenza «invitatus a Florentinis ad Tusciam usque descendit».

Si può ritenere per certo che la diocesi di Firenze era allora vacante del vescovo, perchè lo stesso Paolino, nel descrivere l’arrivo del vescovo lombardo, non fa alcun accenno dell’esistenza di un presule della Chiesa fiorentina.

Il compianto canonico dott. Giovan Battista Ristori, priore di Santi Apostoli, pubblicò nell’Archivio Storico Italiano del 1905 un interessante studio sulla venuta di S. Ambrogio a Firenze. Egli confermò la notizia che questi giunse nei primi mesi del 393 a fare la dedicazione della basilica di S. Lorenzo, deponendo nell’altare le reliquie dei santi martiri Vitale e Agricola, che aveva recate da Bologna dove erasi trattenuto prima di fermarsi a Faenza.

La letizia che invase i cattolici fiorentini è espressa chiaramente in questa frase di Paolino : «magna illic totius plebis sanctae laetitia atque exultatio fuit, poena daemonum confitentium Martyrum merita».

Tutti gli scrittori accennano alla tradizione che fondatrice della primitiva chiesa di S. Lorenzo consacrata da Sant’Ambrogio, fosse una pia matrona a nome Giuliana, la quale aveva fatto voto di erigere un tempio in onore del santo martire se avesse avuto un figliuolo.

La conferma di tale notizia l’abbiamo nel testo del discorso tenuto da S. Ambrogio per la consacrazione della chiesa costruita nel punto in cui sorse poi la grande basilica laurenziana.

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