Il posacenere
di Nicholas Penny
da: London Review of books
Vol. 3 N. 10 · 4 Giugno 1981
Recensione a:
STUDIO E CRITICA DELLA SCULTURA ITALIANA
di
John Pope-Hennessy, Princeton, Marzo 1981
_________________________________________
Traduzione di Andreina Mancini
_________________________________________
“Una sera, uscendo da una cena all’ambasciata americana, incontrai per caso David Carritt, che mi raccontò di essersi imbattuto in un rilievo rotondo in bronzo della Vergine col Bambino, utilizzato come posacenere.” Chi racconta è Sir John Pope-Hennessy e il suo incontro notturno era con uno dei mercanti d’arte più esperti d’Europa. « “Era a doppia faccia?” gli chiesi. “Sì”, rispose, pensava di sì. Il giorno dopo l’oggetto fu portato nel mio ufficio…».
E qui Pope-Hennessy rigirò nelle mani un rilievo bronzeo della Vergine, il capo teneramente chinato verso quello del piccolo Salvatore, circondato da quattro angioletti ancora più piccoli e molto indaffarati. Per le superfici ondulate e increspate, per la nervosa linearità, per la straordinaria varietà della finitura, Pope-Hennessy deve avere immediatamente capito di avere in mano un capolavoro originale di uno dei più grandi scultori europei, Donatello. Inoltre, la scena gli era già familiare.
Il retro del rilievo, sul quale sigarette e sigari erano stati schiacciati da chissà quante educatissime persone, era stato immaginato per servire da stampo da cui si sarebbero potuti ricavare calchi con il disegno identico al rilievo sulla faccia anteriore. A quanto pare, alcuni furono realizzati nel Rinascimento, e almeno uno, in gesso, alla fine del XVIII secolo, quando il bronzo era in possesso di un nobile inglese. Il calco del XVIII secolo fu presentato a Sir John Soane dal pittore Henry Howard (insieme al calco di un’antica cornice di specchio in bronzo a sbalzo proveniente da Paramythia, ora al British Museum, che mostra alcune interessanti affinità stilistiche con Donatello). Per questo Pope-Hennessy riconobbe il disegno. Ma sapeva anche quando fu realizzato il bronzo, o almeno quando fu consegnato al suo primo proprietario.
Questo fu grazie alle ricerche effettuate su una diversa scultura della stessa epoca: l’imponente ritratto marmoreo, che si trova al Victoria and Albert Museum, di un medico fiorentino, Giovanni Chellini, scolpito dal Rossellino, che porta incisa la data del 1456 ed è uno dei primi busti-ritratto realizzati dall’antichità. Ronald Lightbown, cercando di scoprire di più sul soggetto per il catalogo della collezione del museo al quale stava lavorando con Pope-Hennessy, scoprì un’autobiografia manoscritta di Chellini, che raccontava di essere stato amico e medico di Donatello, il quale, in segno di gratitudine per il buon esito delle cure, gli aveva fatto dono di un bassorilievo in bronzo nel 1456 – lo stesso anno in cui il Rossellino aveva firmato il busto. La descrizione del bassorilievo, a cui Pope-Hennessy sembra abbia immediatamente pensato appena sentì parlare del posacenere, corrispondeva perfettamente all’oggetto stesso. Fu “acquisito per la nazione” e raggiunse il busto del suo ex proprietario nel V. & A. Museum.
Il “Caso del posacenere di Donatello” è il miglior racconto di questa antologia di articoli e conferenze di Pope-Hennessy. Ma ci sono molti altri esempi del suo fiuto da Sherlock Holmes (anche un po’ troppo compiaciuto per i presunti errori dei suoi rivali). In generale la sua attività investigativa non prevede riferimenti a documenti. In effetti, siamo messi in guardia dal prestare troppa attenzione ad essi, trascurando di osservare l’opera d’arte. In particolare, è quanto ci viene raccomandato nella lezione di apertura sulla critica d’arte, che consiste in alcune lucide riflessioni sui metodi degli antenati spirituali di Pope-Hennessy – Cavalcaselle, Morelli, Berenson, Longhi, Offner. (Sarebbe ben accetto un resoconto più completo degli studi sulla pittura italiana di questi scrittori, ma non dovrebbero essere trascurati i grandi ricercatori tedeschi della scultura greca, come Furtwängler o anche Winckelmann, che in effetti furono i pionieri di ciò che Pope-Hennessy, con insolita ineleganza, definisce ‘tecniche di analisi stilistica’.)
Questa lezione di apertura è piuttosto cauta. Ma è vero che l’acuta discriminazione visiva esercitata da Pope-Hennessy è oggi sottovalutata nei Dipartimenti universitari di Storia dell’Arte. Diapositive a colori di verdure surgelate si sono dimostrate più attraenti dell’oggetto reale. C’è scarsa comprensione delle tecniche dell’artista e non viene molto incoraggiata l’osservazione della superficie di dipinti e sculture. Quindi è esaltante mostrare come, sotto la ridipintura, la Madonna dell’Umiltà di Washington sembri realmente di Masaccio, o confrontare le pieghe dei panneggi del busto di Francesco Sassetti con quelle preferite dal Verrocchio. Poi c’è quel potente bronzetto del Bargello, detto il “Pugile” (sebbene imiti l’atteggiamento di uno degli antichi “Domatori di cavalli” del Quirinale a Roma), che è stato attribuito a una mezza dozzina di scultori diversi: non mostra in realtà, si chiede Pope-Hennessy, il portamento teso, la modellazione audace, la superficie martellata e persino il tipo di viso, associati a Donatello?
Molte delle idee comunemente accettate che Pope-Hennessy si preoccupa di mettere in discussione saranno state recepite solo da specialisti, che comunque avranno già familiarità con la maggior parte dei contenuti di questo libro. Tuttavia il libro può essere consigliato a qualsiasi non specialista che ami la scultura fiorentina del Quattrocento – che è ciò di cui soprattutto parla, malgrado il titolo. E moltissime persone rientrano in questa categoria. Infatti, se incontri un anglosassone con un vero amore per le arti visive – intendo uno che non solo si mette in coda per vedere le grandi mostre ma si affaccia a visitare la collezione permanente all’ora di pranzo – puoi aspettarti che abbia visitato Firenze in un’età in cui si è più facilmente impressionabili e che si sia innamorato delle Porte del Paradiso del Ghiberti, della Cappella dei Pazzi, dei Botticelli degli Uffizi, del David di Donatello e del San Giovanni di Desiderio al Bargello, degli affreschi di Masaccio nella Cappella Brancacci e di quelli di Benozzo Gozzoli nel Palazzo Medici. Ad eccezione di Michelangelo, i grandi maestri del Cinquecento fanno molto meno effetto.
In questa storia d’amore la scultura ha un ruolo molto importante. Ciò non può essere dovuto semplicemente al fatto che la scultura è molto buona, perché gli scultori francesi del XVIII secolo come Bouchardon, Falconet, Pigalle e Houdon non suscitano neppure una minima parte dell’interesse suscitato dai loro contemporanei Boucher, Chardin, Fragonard e David, benché sicuramente siano artisti di pari livello: e praticamente la stessa cosa si può affermare di molti altri periodi.
La scultura è più penalizzata dalla luce elettrica e dalla riproduzione fotografica rispetto ai dipinti, ma molto prima di queste invenzioni si osservava che un vero gusto per essa era meno “diffuso nella massa dell’umanità” rispetto al gusto per le immagini, che hanno una gamma più vasta di soggetti ed erano meno costosi e ingombranti. L’arte della pittura attira anche un maggior numero di dilettanti, e quindi più simpatia. Tutti i bambini dipingono e la maggior parte degli adulti fa scarabocchi, ma non sono molte le persone che hanno grande esperienza di modellismo e anche la forma più elementare di intaglio è praticata raramente (in quasi tutte le scuole il tavolo in fòrmica ha sostituito il banco di legno).
Nel tentativo di spiegare perché le sculture fiorentine del Quattrocento sono altrettanto popolari dei dipinti della stessa epoca, il punto più ovvio da sottolineare è che molte di esse sono insolitamente pittoriche. Nei rilievi bronzei del Ghiberti ammiriamo paesaggi e interni architettonici, ma da allora nessun grande scultore europeo ha rappresentato quei soggetti. Inoltre, naturalmente, nella Firenze del Quattrocento era molto frequente la scultura colorata in terracotta invetriata, e i bassorilievi in stucco – di solito della Vergine col Bambino – erano normalmente colorati e dorati (qui si discute di alcuni di questi). I rilievi marmorei che questi rilievi in stucco riflettono sempre, e spesso riproducono, erano essi stessi talvolta colorati e di solito parzialmente dorati: in ogni caso, in molti di essi troveremo che, usando le parole con cui Pope-Hennessy conclude l’analisi di uno dei più bei bassorilievi sopravvissuti, la Madonna Altman del Rossellino, “le aspirazioni rivelate nelle morbide transizioni dei suoi piani poco profondi e nell’illusoria mobilità delle sue forme partecipano della natura di entrambe le arti”.
Dobbiamo osservare molto da vicino la Madonna Altman per vedere come i riccioli dei cherubini sono sparsi sulle loro ali, che si alzano dalle increspature delle nuvole, per seguire il ritmo con cui ricade il velo della Vergine, per tracciare i minimi segni di tristezza sulla Sua fronte. La scultura devozionale dei secoli successivi di solito non richiede questo tipo di intima contemplazione, né spesso è così intima nel sentimento. Nella scultura dopo il 1500 è meno probabile che la Vergine giochi con il Bambino, come fa, ad esempio, nei rilievi in terracotta di Rochester e Detroit probabilmente di Ghiberti. Vale la pena di notare, tuttavia, che nel tondo incompiuto della Royal Academy scolpito da Michelangelo, poco dopo il 1500, la Vergine pizzica la guancia del giovane San Giovanni – gesto affettuoso ancora diffuso in Italia – anche se ciò non risulta evidente nelle fotografie ed è sorprendente in un’opera dallo stile molto più eroico e monumentale rispetto a qualsiasi altro bassorilievo anteriore di questo genere. La Grande Maniera del XVI secolo era poco adatta a una simile intimità. Il vero cambiamento, tuttavia, potrebbe essere quello del mecenatismo e della pratica devozionale: una minore richiesta di scultura religiosa domestica.
I busti fiorentini quattrocenteschi che rappresentano delle belle donne hanno più o meno la stessa pacata poesia dei bassorilievi della Vergine col Bambino, come i busti di bambini, che sono facilmente confusi con dei busti di Cristo. Il fascino dei ritratti a busto di uomini di mezza età o di uomini anziani e brutti come Chellini si spiega meno facilmente. Ma di solito hanno un leggero sorriso, che indica un carattere informale e domestico. Non hanno la testa molto piegata su un lato e sono tagliati lungo il petto, ciò che dona loro una immediatezza coinvolgente.
Una simile conclusione del busto potrebbe anche avere qualcosa a che fare con il modo in cui tali ritratti erano visualizzati in origine. Sembra che fossero posti in alto nella stanza, spesso sopra la porta, motivo per cui così tanti di loro guardano verso il basso – compresi i bambini, per inciso, che di solito sono ritratti con lo sguardo in alto (che è, naturalmente, come li vediamo noi di solito) da scultori nei secoli successivi. Uno degli errori commessi da Bastianini, falsario del XIX secolo, nei suoi busti di Savonarola e Marsilio Ficino (trattati nell’ultima parte di questo libro) è stato quello di rappresentarli con lo sguardo rivolto verso l’ alto. Bastianini, come i collezionisti e i curatori che erano stati suoi complici, non aveva pensato all’ esposizione domestica originale della scultura nel Quattrocento.
In generale, sia gli archivisti che gli esperti hanno pensato molto di più a scoprire quale artista ha fatto cosa e quando, piuttosto che a indagare sulle circostanze e sui modi in cui l’arte era originariamente vista, e anzi allo scopo a cui originariamente serviva. Dove sarebbe stata esposta la Madonna Altman? Fino a che punto è stata valutata come opera d’arte distinta da un ausilio devozionale? È stata fatta questa distinzione e, se sì, in quali termini? Donatello si aspettava che Chellini avesse una serie di riproduzioni ricavate dal rilievo bronzeo che gli aveva regalato? Aveva già realizzato un’edizione del genere lui stesso? Qual era l’atteggiamento dell’appassionato d’arte in quell’epoca nei confronti delle riproduzioni? Pope-Hennessy non ignora tali domande. Apre la lezione sulle placchette bronzee italiane spiegando i diversi usi ai quali sono state destinate: come decorazioni per cappelli, pomelli di spada, calamai.
Tuttavia, non è sempre facile attribuire delle funzioni alle opere che ci si appresta a trattare. L’autore afferma che i famosi tondi in terracotta smaltata, opera di Andrea della Robbia, che rappresentano bambini in fasce, furono posti sulla facciata dello Spedale degli Innocenti nell’ambito di una campagna per migliorare le condizioni dei trovatelli ospitati in quell’edificio e “sono in realtà manifesti che ci dicono: “Sii più generoso che puoi e non lasciare che questo accada di nuovo”. Ma i bambini sembrano in buona forma e molto contenti. Non posso immaginare che Andrea della Robbia fosse incapace di rappresentare la sofferenza. Forse intendeva pubblicizzare il miglioramento delle condizioni. (Forse Oxfam non fa lo stesso?) Le domande sullo scopo della scultura del Quattrocento possono trovare risposta solo attraverso l’interpretazione attenta e creativa dei documenti – e i documenti hanno sicuramente bisogno di un esame attento quasi quanto le opere d’arte.