Piero di Cosimo, o più correttamente Piero di Lorenzo (Firenze, 1461 circa – Firenze, 12 aprile 1522), fu messo a bottega di Cosimo Rosselli, che lo tenne come un figlio.
A sentire il Vasari era davvero strano questo pittore. Molto diverso dal suo maestro, sia per gli esiti della sua pittura che per il modo di vivere.
Vediamo come ce la racconta Giorgio…
Le Vite, edizione Torrentini 1550
PIERO DI COSIMO
Pittore Fiorentino
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Ma venendo più al particulare, dico che mentre che Cosimo Rosselli lavorava in Fiorenza, gli fu raccomandato un giovanetto per dovere imparar l’arte della pittura, di età di anni XII, il cui nome fu Piero; il quale aveva da natura uno spirito molto elevato, et era molto stratto e vario di fantasia, dagli altri giovani che stavono con Cosimo per imparare la medesima arte. Costui era qualche volta tanto intento a quello che faceva, che ragionando di qualche cosa, come suole avenire, nel fine del ragionamento bisognava rifarsi da capo a ricontargnene, essendo ito col cervello ad un’altra sua fantasia. Era costui tanto amico de la solitudine, che non aveva piacere se non quando pensoso da sé solo poteva andarsene fantasticando e fare i suoi castelli in aria. Volevagli un ben grande Cosimo suo maestro, per che se ne serviva talmente ne le opere sue, che spesso spesso gli faceva condurre molte cose che erano d’importanza, conoscendo che Piero aveva e piú bella maniera e miglior giudizio di lui. Per questo lo menò egli seco a Roma, quando vi fu chiamato da Papa Sisto per far le storie de la cappella, in una de le quali Piero fece un paese bellissimo, come si disse nella vita di Cosimo.
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E bene lo dimostrò meglio dopo la morte di Cosimo, che egli del continuo stava rinchiuso e non si lasciava veder lavorare, e teneva una vita da uomo piú tosto bestiale che umano. Non voleva che le stanze si spazzassino, voleva mangiare allora che la fame veniva, e non voleva che si zappasse o potasse i frutti dello orto, anzi lasciava crescere le viti et andare i tralci per terra, et i fichi non si potavon mai, né gli altri alberi, anzi si contentava veder salvatico ogni cosa, come la sua natura, allegando che le cose d’essa natura bisogna lassarle custodire a lei, senza farvi altro. Recavasi spesso a veder o animali o erbe o qualche cosa, che la natura fa per istranezza et a·ccaso di molte volte; e ne aveva un contento e una satisfazione che lo furava tutto a se stesso.