Giovanni Freppa, l’uomo tuttofare
di Anita Moskowitz
da Journal of Modern Italian Studies, Agosto 2019
Titolo originale
Giovanni Freppa, ‘Jack of all Trades’
Traduzione di Andreina Mancini
Se il nome di Giovanni Freppa è ben noto agli studiosi, per colui che spinse la Manifattura Ginori a reinventare delle tecniche per eseguire imitazioni del lustro rinascimentale, che finirono per compromettere la reputazione della prestigiosa fabbrica Ginori, situata nella cittadina toscana di Doccia. Questo ‘Scandalo Freppa’ avrebbe richiesto una decisa presa di posizione da parte di Paolo Lorenzini, direttore della fabbrica, per prendere le distanze della ditta dall’antiquario, che si diceva avesse venduto alcuni piatti di Ginori come pezzi rinascimentali autentici (Balleri e Rucellai 2011, pp. 77–120).
Per un altro gruppo di studiosi la sua fama, o meglio la sua infamia, si basa sullo sfruttamento del giovane scultore analfabeta Giovanni Bastianini, che fin dall’inizio aveva mostrato un notevole talento nell’imitare sia lo stile che lo spirito dei busti ritratto italiani del primo Rinascimento. Questo sfociò nel cosiddetto “Affare Benivieni”, quando il Louvre acquistò a un prezzo enorme un busto del poeta e filosofo Girolamo Benivieni (1453–1542) ritenuto un capolavoro rinascimentale ma in realtà eseguito nel 1864 dallo scultore fiorentino su commissione di Freppa (Figura 1) (Moskowitz 2004, 2006, 2013, pp. 62–68). Questo articolo, benché segnali alcune delle sue attività come venditore di falsi e attivo nel mercato dell’arte del suo tempo, non intende ampliare le transazioni di Freppa nel mondo dell’arte; al contrario, si concentra sulle diverse attività in cui si è impegnato e che sono più intriganti di quanto indicato semplicemente da questi due scandali. L’articolo mette in luce alcuni aspetti interessanti della personalità e dell’attività commerciale dell’antiquario in ambito fiorentino e anche altrove durante i decenni centrali dell’Ottocento.
Nato a Livorno il 7 dicembre 1795, Freppa morì a Firenze l’11 luglio 1870 all’età di 75 anni.1 In data che non conosciamo, lui o la sua famiglia si erano trasferiti da Livorno a Napoli, e in seguito in riferimento a lui viene spesso chiamato “Napoletano” o “meridionale” (vedere sotto). Apparentemente si considerava un pittore ma per guadagnarsi da vivere si ritrovò a vendere legna da ardere (o carbone).2 Aveva anche talento musicale, cantava e suonava il pianoforte, e a Napoli sposò una nota cantante francese, Lina Cottrau (1803–1870). In una lettera a Lina del 4 giugno 1829 il fratello Guglielmo Cottrau, compositore francese e editore di musica, lamenta la grave malinconia della donna. La coppia si era sposata qualche anno prima, ma il matrimonio era fallito per colpa, sembra, di Freppa, gran donnaiolo, che umiliava e deprimeva così tanto Lina che lei e sua madre (Adelaide Girault d’Egrefeuille) avevano deciso di tornare a Parigi, da dove provenivano (Scialò e altri 2011, 2015, 28n, p. 69; Passatempi Musicali 2013; Cottrau 2010, p.24).
Il 22 dicembre 1829 Freppa abitava già da un anno a Firenze, in casa della marchesa Orintia Romagnoli Sacrati (Monserrati 2005, pp. 11–46). In apparenza il suo arrivo a Firenze passò inosservato alle autorità, che per incarico del Granducato avevano il compito di vigilare sugli “stranieri” in arrivo nella città toscana: un verbale della polizia fiorentina3, datato 27 ottobre 1835, presenta alcune informazioni errate, affermando:
Giovanni Freppa Napoletano venne a Firenze contemporaneamente alle note vicende rivoluzionarie delle Legazioni Pontifice.4 Fu accolto in casa dalla Marchesa Sagrati or’ defunta, donna intrigante in materie liberali. Nell’andar del tempo si è fatto conoscere il Freppa come uomo infetto in quel genere, e molto dedito al giuoco di vantaggio, al Libertinaggio ed a tener mano agl’intrecci galanti delle dame, dette di buon tuono [sic]. È nell’età di anni 35, scapolo, ed abita attualmente in via Larga a terreno accanto a casa Covoni. È pittore, e travaglia particolarmente in vendite di legna da caminetto. Manca di religione (Monserrati 2005, p. 40)5 .
Non ci sono prove che l’arrivo di Freppa a Firenze avesse a che fare con eventi politici (né per tutta la vita mostrò mai interesse per la politica), e come detto abitava già a Firenze dal 1828. La marchesa Orintia Romagnoli Sacrati (1762 –1834), un’anziana e facoltosa poetessa, aveva tenuto un salotto pomeridiano per un gruppo privilegiato di amici e conoscenti.6 È vero che era una pensatrice molto indipendente e un’attivista politica liberale; anzi, alcune sue azioni, compreso uno scandalo a Ferrara immediatamente dopo il matrimonio, la cui natura non è documentata, l’hanno oscurata per tutta la vita ma non l’hanno mai zittita, e potrebbe benissimo essere la personalità di questa “donna intrigante” insieme a quella di Freppa, con la sua tendenza al “libertinaggio”, a spiegare, in parte, il loro stretto rapporto. Probabilmente fu per suo tramite che Freppa conobbe il noto poeta e filosofo Giacomo Leopardi (1798–1897), con il quale avrebbe poi tentato di fondare una pubblicazione settimanale. La marchesa aveva sposato giovanissima il marchese Sacrati di Ferrara ma ben presto si erano separati; ella, tuttavia, finì per ereditare la considerevole ricchezza del marito. Nel 1828, anziana e su una sedia a rotelle, fu attratta dal giovane incantatore perché, in una lettera indirizzata a qualcuno a Ferrara, descrisse Freppa come “mio carissimo amico, ed ospite da più d’un anno in casa mia” e chiese che durante un viaggio a Ferrara fosse trattato con la massima cortesia: “Io te lo presento nella sicurezza che voi lo accoglierete con quella cortesia che vi distingue, e che ne farete un individuo prediletto della società, poiché troverete in lui tutte le qualità amabili che distinguono con vantaggio un uomo.”7 Nel 1832 la marchesa scrisse le sue volontà dichiarando Giovanni Freppa suo erede universale.8 Quindi alla sua morte, che avvenne il 22 Maggio 1834, Freppa si trovò finanziariamente piuttosto sicuro. Fu lui a provvedere alla sua sepoltura nel chiostro di Santa Croce, e fu lui a chiedere un’iscrizione per la lapide a un amico della Sacrati, l’abate Melchiorre Missirini.
La nostra ottima Marchesa cessa di vivere questa mane alle ore 9 di mattino. Ho disposto che sia sepolta nel chiostro di S. Croce. Ricorro alla vs. bontà d’amicizia per pregarvi di stendermi la piccola iscrizione che dovrà stare su quel marmo che la ricoprirà. Son certo che accorderete questo favore alla mia affezione e all’amicizia che avete per la buona Marchesa Sacrati. (Monserrati 2005, p. 42).9
Ma ancora prima, ormai certo di una vita agiata e deciso a cimentarsi nell’editoria, nel maggio 1832 strinse un improbabile legame con Giacomo Leopardi e con l’ottimo amico di quest’ultimo, lo scrittore e patriota napoletano Antonio Ranieri (1806–1888), per pubblicare un giornale settimanale intitolato Lo Spettatore Fiorentino, “un giornale d’ogni settimana”. Il progetto, ideato da Leopardi prima del suo arrivo a Firenze, avrebbe soddisfatto non solo i suoi interessi letterari e filosofici ma, almeno altrettanto importanti, le drammatiche necessità economiche sue e di Ranieri, poiché i genitori dell’uno e dell’altro avevano tagliato loro il sostegno economico a causa di disaccordi sulla filosofia politica – a favore o contro l’intervento anti-austriaco. Devono essere stati loro due a reclutare Freppa per ricoprire il ruolo di imprenditore finanziario del giornale progettato. Il contratto, datato maggio 1832, prevedeva che Freppa avrebbe finanziato la rivista mentre i due letterati (n.d.t. in italiano nel testo) avrebbero svolto il ruolo di editori e compilatori, ricevendo ciascuno uno stipendio mensile (Monserrati 2005, citando Bresciano e Bresciano 1932, pp. 475–477). Per creare un nuovo giornale serviva l’approvazione del governo granducale e così Freppa scrisse all’istituto di sorveglianza, indirizzando la lettera al Presidente del Buon Governo. Allegato alla lettera di richiesta c’era un Preambolo, in pratica una dichiarazione dei contenuti previsti e del tema del giornale, composto da Leopardi, ma copiato di mano del Freppa.
(La lettera di richiesta conteneva alcuni errori di grammatica):
5 Maggio 1832
Eccellenza,
Giovanni Freppa, nativo di Livorno, stabilito da più anni in Firenze, avendo formato il progetto, in unione di alcuni amici, di pubblicare un giornale settimanale a tenore dell’ingiunto [sic] manifesto, supplica l’E. V. volersi degnare farle [sic] concedere la grazia Sovrana per tale sua domanda, dichiarandosi fin d’ora sottomesso all’esatta osservanza di qualunque cose le [sic] venisse imposto [sic] pel regolare andamento del suddetto stabilmento, del quale si trova esso il gerente Editore. Si protesta intanto con tutto il rispetto di V. E. Umiliss° ed obedientiss°, servo10
G.Freppa
Lung/Arno N. 1194 – 2° Piano
A.S.E. Il Sign. Cavaliere Ciantelli
Presidente del Buon Governo11
Pochissimo tempo dopo, l’8 maggio 1832, giunse la risposta. Benché la lettera fosse accompagnata dal Preambolo a nome del noto e generalmente stimato Leopardi, la richiesta fu respinta piuttosto bruscamente, con l’affermazione che la proposta “non ha meritato nessuna attenzione”.
Fatta ricerca di un tal Giovanni Freppa, il di cui domicilio viene designato nel Lung’Arno, alla Casa segnata di N. 1194, 2° piano, V.S. Ill.ma in nome del Dipartimento significherà al medesimo non aver meritata alcuna attenzione una sua istanza a me diretta, e colla quale invocava la facoltà di redigere e pubblicare settimanalmente colle stampe un nuovo Giornale o Foglio Periodico da intitolarsi Lo Spettatore fiorentino, e del quale presentava il manifesto.12
Il rifiuto era dovuto, secondo Leopardi, alla mutata situazione politica nel Granducato, non più benevolo verso il movimento liberale di cui l’autore faceva parte, e in particolare a un malinteso sulla paternità di una pubblicazione reazionaria filoaustriaca – in realtà scritto dal padre, estremamente conservatore, e non da Giacomo Leopardi.13 Secondo Tellini, probabilmente la causa del rifiuto sarebbe più da ricercare nel fatto che lo scrittore era segnalato tra i “sospetti” all’attenzione della polizia granducale dopo la rivoluzione parigina del luglio1830 e con il movimento rivoluzionario in Toscana del 1831, anche se Leopardi ne aveva preso le distanze, sentendo che gli sforzi erano ormai senza speranza (Tellini 2002, p. 134).
Un lettore neutrale del Preambolo, tuttavia, potrebbe vedere le cose diversamente; e anche l’astuto Freppa potrebbe non aver riconosciuto gli elementi sovversivi nello scritto di Leopardi. Il Preambolo inizia così:
Alcuni amici si hanno posto in capo di voler fare un Giornale. Bisogna sapere che questi amici non sono letterati, anzi aborrono questa qualità . . . Non sono filosofi; non conoscono, propriamente parlando, nessuna scienza; non amano la politica, nè la statistica, né l’economia pubblica o privata. Come essi non sono nulla, così è molto difficile a definire che cosa debba essere il loro Giornale. Essi medesimi non lo sanno. (Del Lungo)14
Più avanti, l’autore scrive:
Se la natura del nostro Giornale è difficile a definire, non così lo scopo. In questo non vi è misteri. Noi non miriamo né all’aumento dell’industria, né al miglioramento degli ordini sociali, né al perfezionamento dell’uomo. Confessiamo schiettamente che il nostro Giornale non avrà nessuna utilità. E crediamo ragionevole che in un secolo in cui tutti i libri, tutti i pezzi di carta stampata, tutti i fogliolini di visita sono utili, venga fuori finalmente un Giornale che faccia professione d’essere inutile: perchè l’uomo tende a farsi singolare dagli altri; e perché, quando tutto è utili resta che uno prometta l’inutile per mutare.15
Dopo aver proseguito su questa falsariga, verso la fine del testo si legge un giudizio estremamente negativo, se non nichilista, sullo stato della società contemporanea:
Ma in fine se nel gravissimo secolo decimonono, che fin qui non è il più felice di cui s’abbia memoria, v’è ancora di quelli che vogliono leggere per diletto, e per avere dalla lettura qualche piccola consolazione a grandi calamità, questi tali sottoscrivano alla nostra impresa Benché proponghiamo di ridere molto, ci serbiamo però intera la facoltà di parlare sul serio: il che faremo forse altrettanto spesso; ma sempre ad oggetto e in maniera di dover dilettare, anche se si desse il caso di far piangere.16
Il Preambolo si chiude con queste parole: “Gli altri compilatori non dichiarano il loro nome per ora. Il nome qui sotto scritto è di quello che ha steso il presente preambolo. Giacomo Leopardi.17
Qualunque sia la ragione politica della bocciatura del Buon Governo, è difficile credere che qualcuno possa immaginare un’accoglienza positiva per un testo – per ironico che sia – che propone una totale mancanza di utilità e un approccio negativo alla società contemporanea – l’appello, dopotutto, non era indirizzato a uno studioso di letteratura o di filosofia, ma piuttosto al capo di un apparato di polizia dipendente dalle sue spie, il cui compito era quello di scacciare i piantagrane.18 In effetti, alcuni scritti di Leopardi, presumibilmente rivolti verso un pubblico più sofisticato – per esempio, le Operette morali, pubblicate per la prima volta nel 1827 – furono ritenute dalla critica eccessivamente negative e distruttive (Cecchetti 1982, p. 11).19 Un’altra persona avrebbe potuto essere più furba, (n.d.t. in italiano nel testo) e meno schietta sui cosiddetti obiettivi del giornale progettato. Con il rifiuto del Buon Governo, il risultato fu «un progetto andato in fumo», come Monserrati intitola il suo capitolo (Monserrati, 11).
Cercando altri mezzi per guadagnarsi da vivere, nel dicembre 1833 Freppa, sia grazie ai suoi intrighi che per un colpo di fortuna, fu autorizzato dal governo del Granducato ad organizzare una riffa o lotteria tra 90 poliziotti; il premio doveva essere un’imitazione di un paravento cinese. Probabilmente, Freppa riuscì a intascare una percentuale del guadagno. Commenta Del Lungo: “Dal giornalismo Leopardiano all’allottatura del paravento chinese era un bel salto!” Cinque mesi dopo, come sopra notato, nel maggio 1834 la Marchesa Sacrati morì e lasciò i suoi beni a Freppa. Questo gli permise, quello stesso anno, di assumere la direzione del Giornale di Commercio. Il giornale era stato fondato anni prima, e quindi non aveva bisogno del permesso del Buon Governo fintanto che non si occupava di questioni politiche. Di nuovo Freppa accettò di finanziare l’operazione mentre Gian Battista Pedeville, che nel 1828 aveva fondato il giornale, divenne direttore editoriale (Monserrati 2005, p. 43).
Il successo del giornale era dovuto in gran parte al suo diritto esclusivo di vendere “figurini di moda” – fogli illustrativi delle ultime mode parigine20 – e di inserire nelle ultime pagine una copia de Il Folletto, una rivista di moda francese. Questo monopolio gli assicurava un mezzo per guadagnarsi da vivere (Monserrati 2005, 44). Si impegnò anche in altre attività redditizie: fondò uno “Stabilmento di Commissioni e depositi”, e insieme ad un certo Maurizio Maudain instaurò importanti rapporti commerciali con la Francia. Freppa finanziò l’acquisto della merce mentre Maudain si servì dei suoi numerosi contatti parigini per importarla in Italia. Il Giornale di Commercio pubblicizzava i prodotti e solo per suo tramite era possibile abbonarsi al Folletto, mentre gli abiti che vi erano illustrati potevano essere acquistati nello “Stabilmento” di cui Freppa era proprietario. (Monserrati 2005, 44n).
Un’altra notizia che abbiamo a proposito di Freppa è un’udienza in tribunale del 3 luglio 1839 e riportata sulla Gazzetta di Firenze del 20 luglio dello stesso anno. Qui apprendiamo che Freppa era coinvolto nella vendita di costumi, compresi scudi ed elmi per il Gioco del Ponte pisano, rievocazione di una battaglia navale medievale, che potrebbe essere considerata la versione pisana del Palio di Siena o del Calcio fiorentino (Heywood 1904, pp. 93–118).21 La tradizione di questo intrattenimento popolare risaliva a diversi secoli prima e continuò fino al 1807 (Heywood 1904, pp. 131–136), per essere ripresa solo poco prima della prima guerra mondiale. Pertanto, tutti i costumi relativi al Gioco del Ponte dovevano essere d’epoca o riproduzioni. Accusato di non aver consegnato quanto pagato, il verdetto fu contrario a Freppa, che fu costretto a pagare (Gazzetta di Firenze). Nel maggio 1844 il tribunale emise un altro verdetto contro di lui per il pagamento del canone dovuto per la sua abitazione.22
Il nome di Freppa appare sul Times di Londra il 26 maggio 1841, come quello di un appartenente a una “banda” di falsari e truffatori, organizzata per frodare i banchieri continentali attraverso lettere di credito contraffatte (Times of London, 6).23 Il suo nome è citato più volte durante un processo per diffamazione contro il direttore ed editore del Times, che scrisse la storia, in cui il marchese de Bourbel, tra gli imputati, scrisse una lettera a “un certo Freppa”, una specie di banchiere di basso livello e suo agente; nella lettera afferma, tra l’altro, che se fosse riuscito in alcune speculazioni in cui stava allora per imbarcarsi, “gli avrebbe rimesso [Freppa] 50.000f da utilizzare a vantaggio” (Hughes 1841, p. 14). Più avanti in questo rapporto, Freppa è indicato come il banchiere di De Bourbel che aveva ammesso “che in quel giorno [28 aprile] ricevette da lui 1.700 Napoleoni in oro” (Hughes 1841, pp. 19-32). In una lettera indirizzata a Freppa da Empoli il 10 maggio, quest’ultimo è pregato “di ottenere un passaporto per lui [De Bourbel] a nome di Freppa.” Quindi il 31 maggio 1840, in una lettera da Valencia, De Bourbel chiede a Freppa “di rimettergli il resto del contante nelle sue mani” (Hughes 1841, p. 32). Nel procedimento vero e proprio della causa per diffamazione il nome di Freppa appare in un ruolo molto minore: l’avvocato dell’imputato, direttore del Times, legge una lettera di De Bourbel da Nizza del 14 aprile al co-cospiratore Louis D’Aijuaon che “Freppa mi ha scritto che a Firenze è tutto tranquillo. Lui mi dice: “Agisci con cautela”” (Hughes 1841, p. 48, p. 63, p. 132). Le attività dei truffatori nel giro di lettere di credito contraffatte li condussero dall’Inghilterra all’Italia, alla Francia e ad un gran numero di grandi città del continente. Insomma, sembra che Giovanni Freppa fosse conosciuto e per breve tempo fosse servito per “aggiustare” le situazioni di diversi loschi personaggi coinvolti in un nefasto schema bancario.24
Negli anni Quaranta dell’Ottocento, tuttavia, Freppa abbandonò la maggior parte delle sue precedenti attività commerciali per cimentarsi come antiquario, e in questo ebbe un tale successo che alla fine divenne noto come “il re degli antiquari” (figura 11). Intorno al 1848 notò un giovane scultore analfabeta che lavorava per lo scultore fiorentino Giovanni Torrini e gli offrì la possibilità di imparare e di lavorare in maniera più metodica e coerente; il giovane accettò l’offerta. Sotto la tutela e su commissione di Freppa, Bastianini produsse la maggior parte delle sculture che gli hanno causato accuse di falso, comprese quelle prodotte ed esposte a suo nome (Moskowitz 2013).
William Blundell Spence, nella sua guida di Firenze del 1852, cita Freppa come un fornitissimo mercante che merita sicuramente una visita. Da altre fonti sappiamo che tra i tanti acquisti fatti da Giovanni Freppa in Francia ci sono pezzi della collezione di maiolica Pasolini. Questa vendita avvenne o nel 1854, come ritiene G. Ballardini, o prima, nel 1851, come ha sostenuto Raymonde Royer (Royer 2003, pp. 121–133).25 Il possesso da parte di Freppa di un importante gruppo di maioliche ci conduce ora al primo grande scandalo in cui fu coinvolto il nostro antiquario, ancora prima dell’affare Benivieni, datato intorno alla metà degli anni Sessanta dell’Ottocento. Una raccolta dei documenti dello stabilimento Ginori di Doccia ci trasmette una vera e propria opera buffa con il racconto del ritrovamento e dell’esposizione di lustri di genere rinascimentale, i cui dettagli sono riportati altrove (Moskowitz 2013; Rucellai 2005, pp. 31–52).26
Ciò che conta nel nostro contesto è che il direttore della Fabbrica Ginori temeva che la reputazione della manifattura fosse stata compromessa, in primo luogo perché riteneva che Freppa si fosse preso il merito di essere stato il catalizzatore della riscoperta della leggendaria tecnica del lustro di Gubbio; e in secondo luogo, perché Ginori capiva che la ditta poteva essere accusata di essere stata sua complice nella vendita di imitazioni spacciate dalla ditta stessa per oggetti originali di antiquariato. (Ausenda 2011, pp. 43–76).
Il 1° dicembre 1854 Freppa scrisse una lettera al direttore generale della rivista L’Arte, ringraziandolo di aver pubblicato, nel numero del 29 novembre, un articolo intitolato “La Riproduzione delle antiche maioliche italiane per cura di Giovanni Freppa”. (L’Arte 1854, 48). L’articolo ripercorre la storia della ceramica a partire dall’antichità e attraverso il Rinascimento, quando nel 1495 un certo Mastro Giorgio di Gubbio inventò una ricetta per creare coloranti iridescenti – ceramica smaltata a lustro – su superfici ceramiche. Questa ricetta andò in seguito perduta ma il chimico della Ginori, Giusto Giusti, dopo sei anni di sperimentazione, riuscì a riprodurne gli effetti. La lettera di dicembre firmata e datata da Freppa affermava che l’elogio per la riscoperta, nell’articolo attribuita all’antiquario, deve essere condiviso anche con il farmacista Giusto Giusti e il pittore Francesco Giusti (padre di Giusto) che ha realizzato i disegni sulla ceramica: “Se dunque alcun merito mi vien compartito, è di tutta giustizia sia diviso con i due sopra nominati Artisti”. Conclude con la richiesta che la sua lettera sia inserita nel giornale stesso.
Alla reinvenzione della tecnica del lustro seguì un boom nel gusto e negli acquisti di maioliche rinascimentali (o di imitazione rinascimentale), che in precedenza erano state considerate di valore insignificante. Infatti Alessandro Foresi commentò che solo pochi decenni prima «[le] terrecotte non le voleva né Dio né Diavolo» e non si potevano vendere oggetti simili per un pezzo di pane (Foresi 1868, p. 48). Tra i piatti commissionati da Freppa alla ditta Ginori ce n’è uno venduto al South Kensington Museum (ora Victoria & Albert Museum) nel 1855 durante l’Esposizione di Parigi (Figura 2). Il piatto mostra un profilo del pirata Federigo Barbarossa Re d’Algeri basato su un’incisione cinquecentesca; il bordo, invece, mostra grottesche senesi, e i due diversi stili e fonti indicano che si tratta di un pastiche, ordinato da Freppa e dipinto, secondo i documenti, da Francesco Giusti (Frescobaldi 2013, cat. 122). La fortunata ricetta della fabbrica Ginori fu gelosamente custodita, ma ovviamente spinse altre manifatture a ricercare la tecnica per riprodurre il lustro.
Durante l’aprile e il maggio di quell’anno, il 1855, Giovanni Freppa portò la scrittrice George Sand in giro per Firenze. Il diario della scrittrice registra il suo comportamento gentile: le ha portato un enorme mazzo di fiori e ha cenato con lei. La Sand visitò il negozio di Freppa due volte. Infine, lui la condusse a visitare casa Pandolfini e commentò che la padrona di casa era l’ultima discendente del segretario di papa Leone X. Forse fu lì che la Sand incontrò “il giovane scultore cresciuto da Freppa” [probabilmente Giovanni Bastianini ]…“che era molto timido” (Poli 1986, p. 591). George Sand lasciò Firenze il 3 maggio e pochi mesi dopo, il 14 luglio 1855, Freppa le scrisse una lettera a Parigi ringraziandola per aver pubblicato un articolo sulle sue maioliche e per essersi offerta di mandargli il manoscritto affinché potesse essere ripubblicato in italiano (Poli 1960).
Tra i tanti episodi segnalati in cui Freppa è coinvolto in una sorta di truffa ce n’è uno raccontato da Enrico Pazzi, allievo di Giovanni Duprè: all’inizio del 1857 quest’ultimo, essendo malato, aveva ceduto al Pazzi una commissione che aveva ricevuto per fare un Presepio in terracotta alla maniera di Luca della Robbia, da completare entro un anno. Mentre il Presepio era ancora nello studio del Pazzi, durante un’assenza di Duprè, il suo assistente modellò una Vergine sul modello di quella del Presepio e su commissione di Freppa ne riprodusse tre copie in marmo. Queste, secondo il diario di Pazzi, erano stati macchiate in vari punti e vendute come pezzi d’antiquariato (Pazzi 1887, pp. 44-48).
Da diverse lettere dell’Archivio Rothschild a Parigi, datate durante gli anni Cinquanta dell’800, scritte in francese e firmate da “Jean Freppa”, veniamo a conoscenza che aveva un fratello, Carlo Freppa, che viveva ancora a Napoli.27 La corrispondenza di Freppa con la banca Rothschild riguarda scambi di denaro solo con solo una rara menzione di opere d’arte, benché si occupasse di antiquariato sin dagli anni Quaranta dell’Ottocento.
Apparentemente, aveva un conto presso la banca Rothschild e accettava versamenti ed effettuava pagamenti da quel conto. Inoltre, le lettere suggeriscono rapporti con un certo numero di famiglie, alcune delle quali piuttosto importanti, come i Sabatier di Montpellier, una ricca famiglia di origine nobile;28 un certo N.H. Wolfe di New York, al quale spediva casse con arredi che erano stati ordinati presso Freppa, mentre alcune cornici dorate di specchi dovevano essere spedite a breve; Abraham Philipson; il barone Gustave Rothschild (forse rampollo della famiglia di banchieri parigini che Freppa aveva conosciuto a Firenze); i fratelli Gandell (forse banchieri di Parigi); ed Eugène Piot.
Nel 1859 Freppa riuscì ad acquistare la cantoria in marmo (Figura 8) di Santa Maria Novella a Firenze, c. 1495, di Baccio d’Agnolo, che Freppa negoziò per la vendita al South Kensington Museum tramite Cole e Robinson (sebbene vi sia disaccordo su quale dei due abbia svolto il ruolo più significativo. [cfr Wainright 1999, pp. 181 –182, 185n; Davies 1998, pagg. 169–188]). L’acquisto attirò l’attenzione della stampa popolare, per esempio nel Lloyds Weekly Newspaper del 3 giugno 1860 si legge:
Ecco qui un po’ di romanticismo in marmo! Più di un anno fa – prima che gli Asburgo toscani fuggissero da Firenze – un gentiluomo inglese entrò nella nobile chiesa di Santa Maria Novella. Il pavimento di marmo era cosparso di sudicio. I monaci stavano controllando dei muratori che distruggevano le splendide decorazioni interne della chiesa. La cantoria, bella e preziosa opera d’arte italiana, capolavoro di Baccio d’Agnolo, per terra in pezzi; quel signore aveva sentito dire che era stata comprata, per poco più che del marmo vecchio, da un mercante, il signor Freppa, di Firenze, e stava per essere rivenduta a un costruttore francese, che intendeva trasformarla in balcone, – con il suo “giglio” della repubblica fiorentina e il motto ‘Libertas’ – in una di quelle fantastiche case che il gusto orribile del secondo impero ha introdotto nei sobborghi di Parigi. L’Inglese vide un’occasione e si assicurò l’opera… 29
Nel 1861 Freppa fu tra i tanti antiquari e collezionisti privati che prestarono opere alla mostra tenutasi in casa di Marco Guastalla. Questa mostra doveva esibire il patrimonio fiorentino ed era destinata a diventare un precedente per gli oggetti del periodo medievale e rinascimentale italiano progettati per una mostra nel ricostruito Palazzo del Podestà, d’ora in poi chiamato Bargello e poi Museo Nazionale del Bargello (Barocchi e Bertelà 1985, pp. 221– 377, specialmente pp. 224–225, p. 281; si veda anche Bertelli 2015, pp. 40–63). Ma solo dopo pochi anni avvenne il secondo grande scandalo che coinvolse il nostro antiquario, questo durante gli anni in cui Bastianini lavorò sotto di lui, quando il giovane scultore realizzò la maggior parte delle opere diventate famose, tra le quali il famoso busto Benivieni del Louvre che avrebbe condotto a una tempesta mediatica. Basterà qui affermare che mentre alcune opere di Bastianini non sono firmate dallo scultore, molte sono firmate e le loro date sono note grazie ai registri della loro esposizione pubblica. Bastianini fu uno scultore eclettico che realizzò opere in molti generi e in vari stili, a seconda del soggetto e dei gusti del committente. Il suo lavoro comprende ritratti realistici in stile rinascimentale di personaggi storici maschili (Figura 3), immagini idealizzate di personalità storiche femminili (Figura 4) e soggetti sentimentali e di genere (Figura 5). Tra i busti ritratto ci sono quelli di Girolamo Benivieni, acquistato dal Louvre come capolavoro del Rinascimento (Figura 1),30 e di Girolamo Savonarola (Figura 3), acquistato da due pittori di Firenze e ora al Victoria & Albert Museum di Londra (Moskowitz 2013, 62–71).
Eseguì anche ritratti di personaggi in uno stile semplice e contemporaneo, come Eleonora Nencini Pandolfini (Figura 6) e il conte F. O. Jennison.
Poco prima di morire, Bastianini modellò un busto ritratto in terracotta profondamente introspettivo del senatore Filippo Antonio Gualterio, busto che qui esplora le intime tensioni di un uomo profondamente coinvolto e segnato dalla politica del suo tempo (Figura 7).
Nelle mie pubblicazioni ho messo in dubbio il presupposto che Bastianini abbia agito in modo ingannevole e quindi meriti l’epiteto di “falsario”. Una visione corretta ed equilibrata delle prove, quasi inequivocabilmente, porta alla conclusione che Bastianini non agì in modo ingannevole e che, nel peggiore dei casi, era estraneo e disinteressato all’itinerario di mercato della sua opera fino a quando l’affare Benivieni non divenne oggetto di accesi commenti sulla stampa francese e italiana. Non beneficiò mai finanziariamente del suo lavoro e morì piuttosto povero (Moskowitz 2004, 2006, 2013).
Tuttavia la questione dell’integrità di Freppa è forse più contraddittoria in quanto chiaramente si trova a cavallo del confine tra onesto broker e disonesto truffatore: in effetti, la sua personalità era più complessa di quanto le caricature scritte e in immagini lo abbiano rappresentato. Sebbene alla fine abbia sostenuto Bastianini quando questi affermava di non essere a conoscenza degli usi a cui venivano destinate le sue sculture, le prove suggeriscono che l’antiquario non era contrario alle identificazioni errate dei busti di Bastianini come risalenti al Rinascimento. Per preservare la propria reputazione lasciava talvolta che fosse il committente a stabilire se un’opera fosse moderna o antica, come accadde nel caso del busto di Benivieni: Freppa aveva commissionato l’opera a Bastianini nel 1864 e gli aveva pagato 300 lire. L’antiquario poi lo vendette a un collezionista francese e non fece alcuna rivendicazione circa la data del busto. Successivamente fu messo all’asta a Parigi, dove il busto fu accolto con estasi come un capolavoro del Rinascimento. Dopo un acceso rilancio di offerte, il busto fu vinto dall’amministratore dei musei imperiali per la cifra senza precedenti di 13.600 franchi e poi finì al Louvre. Naturalmente Freppa, come era stato concordato con il primo acquirente, si aspettava una buona parte dell’elevato profitto scaturito dalla vendita, ma fu ricompensato con soli 1000 franchi; inutile dire che Bastianini, benché sorpreso e arrabbiato, dovette accontentarsi delle originarie 300 lire (all’epoca franchi e lire avevano valore equivalente). Quando insisté di essere l’autore della terracotta, fu chiamato impostore – non un falsario ma qualcuno che si è falsamente attribuito il merito di un’opera d’ingegno del Rinascimento – e fu allora che seguì il dibattito mediatico sul busto. Sebbene nell’ottobre 1866 il contratto tra Freppa e il giovane scultore fosse stato chiuso di comune accordo (Gentilini 1985–1986, pp. 104–107), l’antiquario si attivò in difesa di Bastianini in un articolo pubblicato su Chronique des Arts del 15 dicembre 1867, dove descrisse le circostanze della sua commissione del busto a Bastianini; ripetuto in Foresi 1868, pp. 24-27. Alla fine, i francesi accettarono che lui fosse l’autore non solo del Benivieni, ma anche della Chanteuse fiorentina e di altre controverse opere di scultura.
Negli anni Freppa fu manager e mecenate di Bastianini, mercante di antichità, e assunse anche un’altra veste: divenne Presidente della Società del Politeama Fiorentino e fu nominato Soprintendente ai lavori del Teatro Fiorentino. Il famoso antiquario fiorentino Stefano Bardini (1836– 1922), prima di assumere tale ruolo, fu coinvolto nel progetto avendo disegnato un sipario per questa importantissima impresa civica; anche Bastianini ebbe un ruolo, essendo stato incaricato di eseguire cinque statue per il teatro.
Purtroppo, nella notte del 24 giugno 1864 il teatro andò a fuoco, mettendo fine ai curiosi intrecci di questi tre protagonisti coinvolti come artefice, mecenate e mercante (mercanti) nella seconda metà del XIX secolo (Scalia 1984, p. 12 e 84n; Moskowitz 2013, p. 38, p. 114; e 2015, p. 19). Come vedremo in seguito, uno strano intreccio di circostanze fece sì che i resti di Bastianini e di Freppa finissero sulla stessa parete di colombari alle Porte Sante, abbastanza vicini l’uno all’altro.
Dopo il 1867 si sente poco parlare di Giovanni Freppa, anche se una vivace descrizione del suo qaspetto fisico è stata riportata da J. de Précy ne La Liberté del 14 gennaio 1868:31 È “un grande diavolo d’uomo alto sei piedi, magro come una lisca di pesce e dal naso prodigioso, settantacinquenne, che ama la tavola, le signorine, e racconta con gusto gli scherzi che ha fatto ai commercianti francesi.” La fama di Freppa lo seguì a lungo anche dopo la morte: Mario Foresi (Foresi 1919, pp. 90–102) scrisse che l’antiquario era “un amator fortunato delle giovani donne e delle cose vecchie”.
Anni dopo Mario Foresi, critico, collezionista e letterato, seguì le orme dello zio Alessandro e sostenne fortemente Bastianini come vero artista; provava tuttavia una fortissima antipatia nei confronti di Freppa, con il quale pare avesse avuto contatti. In un articolo su Bastianini (Foresi 1911, pp. 297–414), descrisse Freppa come:
… un meridionale se non molto erudito tuttavia esperto di antichità, d’occhio scarico e, diciamolo pure, intrigante e scaltro più che non occorresse al suo commercio . . . [Freppa] fu cavalier garbato e intraprendente, vagheggino, canterino di cabalette rossiniane, e tanto di donne giovani quanto di cose vecchie scovatore e cultore fortunato, accolto nella intimità di qualche cospicua famiglia, sia in grazia della sua intelligenza antiquaria, sia in grazia della sua compitezza insinuevole: in casa Pandolfini, per esempio, nell’antico palazzo di Raffaello; in casa Viviani; in casa Pucci; ed altrove32
Quindi riuscì a ingraziarsi alcune delle più importanti famiglie fiorentine durante la metà del XIX secolo.
Ci sono almeno tre caricature che rappresentano Freppa (vedi Figg. 9–11): una compare nell’illustrazione di un piatto in maiolica del pittore Emilio Lapi (1814– 1898) pubblicata sul periodico satirico Il Passatempo. Gli antiquari di Firenze dipinti ne’ loro piatti, datato 1857 (Figura 9) (Giardello 1971). Il piatto presenta l’iscrizione ‘Joannes I. Paleophilus’ (Giovanni amante delle antichità), e mostra un uomo dalle grandi orecchie, dall’aspetto furbo con un enorme naso adunco, che indossa un cappello da pescatore con le falde leggermente rialzate e una corona infilata sopra il cappello, con minuscoli gigli sulle punte della corona. L’antiquario tiene nella mano destra un’enorme siringa. La siringa suggerisce o che lo spacciatore è in grado di drogare i suoi clienti, oppure preleva – cioè ‘succhia’ – il loro sangue esigendo prezzi elevati per oggetti senza valore come le false maioliche (Il Passatempo 1857, pp. 6–7; Foresi 1919, pp. 90–102).
Il secondo è un’illustrazione in un articolo satirico, che mostra un terzetto di commercianti che trasportano ognuno la propria specialità (Figura 10). Il primo della fila è Freppa, il cui corpo è composto da un mobile a due piani che regge dei piatti rotondi, evidentemente maioliche; la raffigurazione rappresenta ‘I pifferi di montagna, ossia gli antiquari fiorentini a Parigi,’ [i suonatori di cornamusa della montagna o gli antiquari fiorentini a Parigi] e compare ne Il Passatempo, 1857. Infine, nel 1858, ne Il Piovano Arlotto, qualcuno legge un poema satirico in prima persona (Freppa, scrittore fittizio) di Luigi Zanobini, antiquario e poeta, e la sua “agenda e Predicozzi di un antiquario”, che si conclude con le parole, ‘Chè sono e sarò sempre degli antiquari il Re’ (Il Piovano Arlotto, 1858, pp. 371–379). La poesia è seguita da una caricatura che mostra un uomo dignitoso con un cappello a cilindro e un bastone in mano, e tre antiquari, uno dei quali è Freppa, che sporge la sua grande testa da un’elaborata cornice posta su un’alta consolle o piedistallo. Freppa indossa di nuovo una corona ma in questa immagine le punte sono tutte composte da siringhe! (Figura 11)
Sia la parola che l’immagine mettono in evidenza che Freppa aveva una diffusa reputazione di astuzia disonesta. Eppure, non volle prendersi tutto il merito dell’invenzione del lustro iridescente tanto ricercato, ma insistette perché il merito fosse condiviso con i due dipendenti di Ginori, Giusti padre e figlio. Tuttavia, la bilancia probabilmente penderebbe dalla parte del piatto delle attività losche di Freppa che alla fine, nel 1868, lo lasciarono in ristrettezze finanziarie, non a causa dell’affare Benivieni – che per ironia accrebbe la domanda di opere d’arte rinascimentali e neorinascimentali (Moskowitz 2013, 134f.; Baldinotti 2007, pp. 103–107) – ma per lo scandalo Ginori, che diffidava i potenziali acquirenti dall’acquistare oggetti, soprattutto maioliche, dall’antiquario e non solo da lui, ma anche da altri. Infatti, un collega di Freppa, Giuseppe Elisei che vendeva anche lui dei falsi, si lamentò che era stato così tanto pubblicizzato come fare il lustro che ora c’è “tale sfiducia nei compratori, da rendere impossibile di vendere qui le nostre contrafazioni “(Riccetti 2017, p. 21).
Due anni dopo, nel 1870, Freppa scrisse il suo testamento.33 Non avendo in apparenza dei parenti in vita, lasciò tutti i suoi averi, compresi oro, argento, dipinti e ogni altra cosa si trovasse tra i suoi averi il giorno della sua morte, come suo erede universale, a un certo signor del fu Francesco Mauche, proprietario di un negozio di fronte a palazzo Strozzi. Bertelli ha suggerito che potrebbe trattarsi di un altro antiquario che seguiva le orme della professione a cui Freppa aveva dedicato buona parte della vita, ma che di questa persona non si conosce altro (Bertelli 2011). Tuttavia, in una guida di Firenze di metà Ottocento, il nome Mauche è citato come quello di un venditore di stampe di fronte a Palazzo Strozzi (Wilson n.d., p. XXXIII).34 In quel libro, seguendo l’indice, c’è una serie di annunci per vari oggetti e aziende; una di queste, in un annuncio di mezza pagina, c’è S. V. Mauche e C., via Legnaioli, di fronte a palazzo Strozzi. Tra gli articoli elencati ci sono pianoforti da affittare o vendere; inoltre litografie, incisioni, ornamenti, oggetti per il disegno, la pittura e l’ufficio.
L’ultima notizia riguardante Giovanni Freppa è l’Atto di Morte, che attesta la sua morte avvenuta l’11 luglio 1870 (Monserrati 2005, p. 46; Bertelli 2011, p. 133n). Benché il certificato riporti che aveva settantasei anni quando morì, il suo certificato di battesimo a Livorno registra la sua nascita il 7 dicembre 1795; quindi morì sette mesi prima del suo settantaseiesimo compleanno.
Su questa personalità piuttosto bizzarra vale la pena di citare quasi integralmente il giudizio di Monserrati (2005, p. 46):
Da queste poche testimonianze relative alla vita di Freppa si può intravedere una figura dal carattere intraprendente, avido e astuto nell’intessere rapporti con notabili che gli garantivano il sostegno necessario ai suoi affari . . . I giornali che dirigeva lo interessavano solo in relazione alle vendite, lo stesso avveniva anche per le opere d’arte che acquistava con la speranza di rivendere a un prezzo più alto. Ma dietro questo suo considerare l’arte un commercio vantaggioso si nascondeva la passione di un artista mancato che trovava la sua realizzazione nel ruolo di imprenditore. Uomo d’affari, ha attraversato gli anni che vanno dal Granducato a Firenze capitale e, sebbene fosse in contatto con alcuni dei protagonisti di quest’epoca, nei suoi carteggi non c’è traccia degli importanti avvenimenti storici accaduti. Anche se oggi il suo nome è stato completamente dimenticato, nella sua carriera Freppa ha lasciato contributi notevoli all’arte (dalle preziose maioliche esposte a Parigi, alle statue di Bastanini o ad altri lavori di minore impegno come la decorazione del palazzo Pandolfini a Firenze), oltre a essere stato un importante mecenate dell’editoria e un mercato aperto ai traffici internazionali. (Monserrati 2005, p. 46)35
Le ambiguità della sua personalità e le vicissitudini delle attività nel corso della sua vita continuarono dopo la morte: fu sepolto nel cimitero delle Porte Sante a San Miniato al Monte ma la sua tomba non esiste più. Ad un certo punto del XX secolo i suoi resti, insieme a molti altri, furono rimossi dai loro luoghi di sepoltura e ammucchiati in un ossario, secondo i registri informatici del cimitero, nella sezione H, casella numero 830. In una visita alle Porte Sante nell’aprile 2018 fu trovato il sito, ma non c’erano nomi, solo il numero 830 scritto a matita sulla lastra frontale (Figure 12 e 13). I tentativi di ottenere copia di qualunque documento ufficiale che dichiarasse che i suoi resti erano stati trasferiti nell’ossario sono rimasti senza successo. Così, il “re degli antiquari” è quasi scomparso dalla cronaca storica lasciando, come è stato suggerito (Catterson 2017, pp. 1–36) il mercato antiquario fiorentino aperto a nuovi attori sulla scena, primo fra tutti Stefano Bardini.36 Sostituendo “il re”, fu Bardini che divenne, esattamente in quel momento, “il principe degli antiquari”.
Note
1. Secondo gli atti di morte della città, citati da Isidoro Del Lungo (1920, pp. 297–310), egli era «figlio del defunto Lorenzo Freppa e della defunta Rosa Aurisicchio, e vedovo di Lina Cottrau». Tellini (2002, p. 130), riporta la data di nascita di Freppa, erroneamente, come 1794 e afferma, sbagliando, che morì nel luglio 1879. Il verbale di polizia citato di seguito, tuttavia, identifica Freppa come napoletano – come fanno alcuni studiosi contemporanei – che arrivò a Firenze nel 1831 all’età di trentacinque anni, il che farebbe della sua nascita il 1796. Lynn Catterson afferma senza fonti che Freppa visse dal c. 1793 a c. 1868. L’atto di battesimo, gentilmente trascritto e trasmessomi da Maria Luisa Fogolari dell’Archivio diocesano Livorno, attesta che nacque il 7 dicembre 1795 e fu battezzato il 10 dello stesso mese nella Collegiata di Livorno (registro n. 46 anno 1795, p. 446.) Il certificato di morte dell’Archivio comunale di Firenze, per il quale ringrazio Cristina Tarchiani, ne registra la scomparsa l’11 luglio 1870, e dichiara che aveva allora settantasei anni. Sulla base del certificato di battesimo a Livorno e dell’Atto di Morte a Firenze, possiamo affermare definitivamente che visse dal 7 dicembre 1795 all’11 luglio 1870 e morì all’età di settantacinque anni.
2. Nel mio libro, Forging Authenticiy, 122, ho erroneamente espresso dubbi sul fatto che Freppa si guadagnava da vivere vendendo carbone.
3. Sul sistema di spionaggio e denuncia dei residenti del Granducato di Toscana, soprattutto degli stranieri, cioè residenti originari da fuori, e sulla censura delle pubblicazioni da parte della polizia governativa dopo il ridisegno dei confini statali e la restaurazione al potere delle antiche dinastie dopo il Congresso di Vienna; si veda Michele (2005, pp. 11–14). Il mutato e complesso clima politico in cui si trovò Leopoldi nel 1830 è affrontato in tutto il saggio di Monserrati (2005, pp. 11-46).
4. Il riferimento è al 1831 (Monserrati 2005, p. 39).
5. ASF, Commissario di S. Croce, affari informativi, filza 11, n. 925; riferimento da Monserati, 40. Per questa e per le seguenti traduzioni di brani in italiano, sono grata a Helen Manner Watterson e a Irene Marchegiani per l’aiuto nel chiarire alcune frasi:
Il napoletano Giovanni Freppa giunse a Firenze in contemporanea alle note vicende rivoluzionarie delle Legazioni Pontificie. Fu accolto nella casa della defunta Marchesa Sacrati, una donna che si occupava di politica/affari liberali. Nel corso del tempo Freppa divenne noto come un uomo ‘contagiato’ da quei punti di vista, e anche molto dedito a giocare tutto a proprio vantaggio, alla licenziosità e ai rapporti galanti con le dame, che si dice abbiano modi raffinati . Ha 35 anni, è scapolo, e attualmente vive in Via Larga, in un appezzamento di terreno adiacente a casa Covoni. È pittore, e si occupa soprattutto della vendita di legna da ardere. Gli manca la religione.
6. Su Sacrati si veda http://www.treccani.it/enciclopedia/orintia-romagnoli-sacrati_% 28Dizionario-Biografico%29/ [consultato il 12 novembre 2017].
7. ‘Te lo presento nella certezza che lo accoglierai con quella cortesia con cui ti sei distinto e lo [trattarai] come un individuo prediletto nella tua società, poiché troverai in lui tutte le amabili qualità che distingue) un uomo con vantaggio[i].’ Monserrati, n. 108. Lettera inedita di Orintia Romagnoli Sacrati a destinatario sconosciuto di Ferrara, Firenze, 22 dicembre 1829, conservata nella Biblioteca Comunale A. Saffi sezione di Forlì, collezioni Piancastelli, «Carte Romagna», n. 626, CR. 159.
8. ASF, Notarile postunitario, protocollo 1926-1956, testamento 1832, n. 15, citato da Monserrati, 43n. Sulla sua vita e il suo lavoro, vedi Monserrati, 40n con riferimenti a Fabbri e Spadoni. Eduardo Fabbri 1915, pp. 2–3, e passim; Domenico Spadoni, Per la prima Guerra d’Indipendenza Italiana del 1815. Proclami, decreti, appelli ed inni, Pavia, Istituto pavese di arti grafiche, 1929, pp. 124–126.
9. Le lettere sono conservate nella Biblioteca Marucelliana di Firenze, Ms.D.388,n.3. “La nostra eccellente Marchesa è morta questa mattina alle 9. Ho disposto la sua sepoltura nel chiostro di S. Croce. Mi rivolgo a te e chiedo nella bontà della tua amicizia di comporre per me una piccola iscrizione per la lastra tombale di marmo che la ricoprirà. Sono certo che concederai questo favore al mio affetto e all’amicizia che hai per la buona Marchesa Sacrati».
10. «Giovanni Freppa, nativo di Livorno, residente da diversi anni a Firenze e avendo formato, insieme ad alcuni amici, un progetto di pubblicare un settimanale del tipo indicato in questo manifesto, supplichi Vostra Eccellenza di degnarsi di concedergli, dal vostro sovrano grazia, una tale richiesta; dichiariamo, d’ora in poi, di essere soggetti alla precisa osservanza di tutto quanto sarà imposto, circa il regolare andamento del suddetto istituto, dall’editore gestore. Frattanto egli [Freppa] dichiara con tutto il rispetto di essere l’umile e obbediente servitore di “Vostra Eccellenza”. Versioni leggermente diverse della lettera sono pubblicate in Isidoro del Lungo, 307, citando Carte del Buon Governo nell’Archivio Fiorentino di Stati e negli Atti dello Stato civile del Comune di Firenze, e in Tellini, 131. Una traduzione sciolta della lettera è la seguente: « Eccellenza, Giovanni Freppa, livornese, stabilì da molti anni a Firenze, e avendo formato un progetto, insieme ad alcuni amici, di pubblicare un settimanale del tipo qui allegato, la preghi Eccellenza di degnarsi di accogliere per vostra sovrana grazia tale richiesta, dichiarandosi d’ora in poi [Freppa] soggetto all’osservanza appunto di tutte le regole imposte nel regolare andamento del predetto istituto [la rivista] di cui sono caporedattore. Nel frattempo si offre con tutto il rispetto verso Vostra Eccellenza di rimanere vostro servitore umilissimo e obbediente».
12. Del Lungo 1920, p. 307. «Dopo aver guardato un certo Giovanni Freppa, il cui domicilio è designato come la casa del Polmone d’Arno identificata come N. 1194, 2° piano, il vostro illustre signore a nome del Dipartimento informerà lo stesso [Freppa] che la richiesta diretta a me, per il permesso di creare e pubblicare settimanalmente un nuovo giornale o periodico di essere intitolato Lo Spettatore fiorentino, e di cui ha presentato il manifesto, non merita attenzione».
13. La pubblicazione, intitolata Dialoghi sulle Materie Correnti, esprimeva appoggio alla repressione austriaca delle rivolte repubblicane; vedi Monserrati 2005, pp. 25–29; Tellini 2002, pp. 126–148 (p. 135, citando il biografo di Leopardi Damiani 1992, p. 471).
14. Isidoro del Lungo, op cit. Il Preambolo (o una sua versione) è pubblicato su 131f. e si traduce liberamente come segue: ‘ Bisogna sapere che questi amici non sono esperti in letteratura, anzi detestano questa qualità. . . . Non sono filosofi; non conoscono, propriamente parlando, alcuna scienza; non amano la politica, né la statistica, né l’economia, né pubblica né privata. Poiché non sono niente, quindi è molto difficile definire quale dovrebbe essere il loro diario. Loro stessi non lo sanno. ’
15. «Se la natura del nostro diario è difficile da definire, non lo è lo scopo. Non c’è nessun mistero in questo. Il nostro scopo non è né la crescita dell’industria, né il miglioramento degli ordini sociali, né la perfezione dell’uomo. Confessiamo che il nostro diario non avrà alcuna utilità. E riteniamo ragionevole che in un secolo in cui tutti i libri, tutti i fogli stampati, tutti i bigliettini da visita sono utili, finalmente emerga un giornale che si professa inutile: perché l’uomo tende a rendersi diverso dagli altri; e perché, quando tutto il resto è utile, il cambiamento è possibile solo con l’inutile.’
16. «Ma alla fine se nel gravissimo diciannovesimo secolo che finora non è il più felice nella memoria, c’è ancora chi vuole leggere per diletto, e ottenere dalla lettura qualche piccola consolazione per grandi calamità, questi avallerà la nostra impresa. . . . Nonostante ci proponiamo di ridere molto, ci riserviamo comunque la possibilità di parlare seriamente: cosa che probabilmente faremo altrettanto spesso; ma sempre con lo scopo e il modo di divertire, anche se l’incidente dovesse far piangere.’
17. Un appunto fa riferimento ai ritratti litografici che verranno pubblicati una volta al mese con brevi biografie di notabili contemporanei.
18. Lo suggerisce Del Lungo (1920, p. 307), che nota il tono altezzoso della risposta di coloro ‘chi ha ben altro da pensare che a letterature, ben altro che a ironie e a parodie’ [che ne hanno abbastanza altre cose a cui pensare oltre alla letteratura, altre cose oltre all’ironia e alle parodie].
19. Gli studiosi hanno collocato il Preambolo nel contesto degli scritti precedenti e successivi di Leopardi, con il suo tono spesso nichilista e il caustico pessimismo (cfr. es. Del Lungo 1920, p. 301f).
20. Sulla storia dei figurini in Francia e sulla loro diffusione in Italia, si veda Marisa Santarsiero, ‘Il figurino: l’immagine della moda nell’Ottocento,’ in Il figurino di moda: La donazione Carlo Gamba alla Biblioteca Marucelliana, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1989, pp. 37–56 (in particolare pp. 40–44).
21. Sul Gioco del Ponte vedi William Heywood, Palio e Ponte: An Account of the Sports of Central Italy from the Age of Dante to the XXth Century, Siena: Torrini 1904, pp. 93–118. [Accesso 19 aprile 2018: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=nyp. 33433082494554;view=1up;seq=180]
22. Archivio Civile di Firenze, CA 233, aff. 63 o., c. 1080 m., c. 1092 m, anno 1844 maggio 17–22.
23. Il suo nome compare di nuovo in quello stesso giornale il 13 giugno 1840 e il 17 giugno 1840. Desidero ringraziare Mark Westgarth per aver portato questi elementi alla mia attenzione. Sembra che Freppa, indicato come titolare di un negozio di curiosità a Firenze, non sia mai stato incriminato per questi atti. Nell’ultimo riferimento, si dice che si definisse “un mercante e banchiere” il cui nome era erroneamente legato all’affare della truffa.
24. Una sintesi degli eventi può essere letta in: https://cunninghamegrahamblog.word press.com/tag/william-cunningham-cunninghame-graham-of-gartmore-finlays tone/ [consultato il 5 giugno 2018].
25. Sulla collezione Pasolini di maiolica e sulla complessità di stabilire cosa fosse venduto, quando e a chi, cfr. Raymonde Royer, ‘ La Collection Pasolini. Sa dispersion en France ’, in “Faenza” Bollettino del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, annata LXXXIX. (Studi in onore di Gaetano Ballardini (1953–2003) a cura di Carmen Ravanelli Guidotti. Anno 2003, fascicolo I–VI, pp. 121–133).
26. La tecnica prevedeva l’ossido metallico cotto in atmosfera di riduzione (cioè senza ossidazione) con conseguenti riflessi iridescenti.
27. ANMT – Archivio Banca Rothschild: Gruppo Rothschild/Compagnie du Nord. Sono estremamente grato a Daria Brasca per avermi avvisato dell’esistenza degli archivi Freppa a Parigi e per avermi inviato immagini di circa 30 lettere, parziale raccolta dei contenuti. Parte della corrispondenza fa riferimento a un fratello di Freppa di nome Carlo. Ho cercato senza successo di localizzare l’atto di battesimo di Carlo sia a Livorno che a Napoli, e non sono stata nemmeno in grado di individuare un certificato di morte in quest’ultima città.
28. Félix Sabatier (1816–1894) aveva forti legami a Firenze; sua moglie vi diede alla luce un figlio e alla sua morte fu sepolta nella città toscana. Sulla famiglia Sabatier di Montpellier, vedi: https://www.ac-sciences-lettres-montpellier.fr/academie_edition/fichiers_conf/FLORENCON-2014. pdf [consultato il 18 giugno 2018]. Questo collegamento è stato gentilmente portato alla mia attenzione da Martha Lee.
29. https://www.britishnewspaperarchive.co.uk/viewer/bl/0000079/18600603/033/0008?noTouch =true. [Accesso 19 aprile 2018].
30. Ma non da Freppa, come ha detto Eleonora Belli 2017, p. 48. I Rilievi mariani del secondo Quattrocento fiorentino, ed. Antonella Nesi, Firenze: Centro Di, 2017, 48.
31. Sono grata a Jeremy Wallace per la scansione e per avermi inviato una copia di questa pubblicazione molto difficile da ottenere.
32. ‘Un meridionale, se non molto dotto, era un esperto di antichità, non si lasciava ingannare facilmente [occhio scarico?] e, diciamolo pure, era impiccione e scaltro più del necessario per il suo mestiere… [Freppa] era un cavaliere garbato e intraprendente, galante, un cantore di arie rossiniane e scopritore e fortunato coltivatore di giovani donne e di cose vecchie, accolto nell’intimità di alcune famiglie illustri, sia in virtù della sua intelligenza antiquaria, sia in virtù della sua insinuante scaltrezza: in casa Pandolfini, ad esempio, nell’antico palazzo di Raffaello; da Viviani; in casa di Pucci.
33. Archivio di Stato Firenze (ASFi): Notarile Postunitario, testamento 1870, n.5022.Cfr. Monserrati, 2005, 46. Bertelli nella sua tesi di dottorato, 113, cita dal testamento di Freppa: ‘In tutti i miei beni poi immobili semoventi ori argenti antichità e generalmente in tutto quello o quanto mi troverò possedere e al giorno della mia morte nomino istituisco e voglio che sia mio Erede universale il Sig. del fu Francesco Mauche negoziante avente il negozio in faccia al Palazzo Strozzi. Quest’è la mia volontà ultima della quale ordino la piena esecuzione» (ASFi, Notarile Postunitario, testamento 1870, n. 5022), cfr. M. Monserrati 2005, p. 46.
34. Freppa è indicato anche come antiquario in Via dei Rondinelli n. 890.
35. ‘ Da queste poche testimonianze legate alla vita di Freppa si intravede una figura di carattere intraprendente, avido e astuto capace di intessere relazioni con notabili che gli garantivano il sostegno necessario alle sue vicende. . . . I giornali che dirigeva lo interessavano solo in relazione alle vendite, lo stesso valeva per le opere d’arte che acquistava nella speranza di rivenderle a un prezzo maggiore. Ma dietro la sua visione dell’arte come attività redditizia si nascondeva la passione di un artista fallito che ha trovato la sua realizzazione nel ruolo di imprenditore.
Un uomo d’affari, visse gli anni che spaziarono dal Granducato a Firenze capitale, e sebbene fosse in contatto con alcuni dei protagonisti di quest’epoca, nella sua corrispondenza non c’è traccia delle importanti vicende storiche avvenute. Anche se oggi il suo nome è stato completamente dimenticato, nella sua carriera Freppa ha lasciato notevoli contributi all’arte (dalle preziose maioliche in mostra a Parigi, alle statue di Bastianini o ad altre opere minori come la decorazione di palazzo Pandolfini a Firenze) oltre ad essere un importante mecenate della pubblicazione, e un commerciante aperto al commercio internazionale.’
36. Su Bardini vedi Moskowitz, Bardini, con bibliografia fino al 2015. Note sull’autrice
Anita F. Moskowitz, professoressa emerita della Stony Brook University, si è specializzata per la maggior parte della sua carriera in scultura gotica e rinascimentale italiana, campo in cui ha pubblicato numerosi articoli, saggi e cinque libri. Più recentemente ha rivolto la sua attenzione ai temi della contraffazione e del mercato dell’arte nell’Ottocento e nei primi anni del Novecento. Oltre a diversi articoli in quel campo, è autrice di due libri – sullo scultore Bastianini e sul mercante Stefano Bardini. La Moskowitz ha ricevuto il dottorato di ricerca dell’Institute of Fine Arts della New York University, ed è destinataria di numerose borse di studio, incluse quelle della Villa I Tatti, della National Endowment of the Humanities e del Center for Advanced Study in the Visual Arts presso la National Gallery di Washington, DC.
Bibliografia
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