Anne Markham Schulz: La tomba di Giovanni Chellini in S. Domenico a S. Miniato al Tedesco

La Tomba di Giovanni Chellini in S. Domenico a S. Miniato al Tedesco

di Anne Markham Schulz

 

da: The Sculpture of Bernardo Rossellino and his Workshop

Cap. 9

 

Princeton University Press, Princeton, New Jersey, 1977

 

Trad. Andreina Mancini

 

 

Ringrazio la dott.ssa Anne Markham Schulz per avermi permesso di pubblicare il suo saggio

e di aver rivisto la traduzione. (paolo pianigiani)

 

 

GIOVANNI CHELLINI, noto anche come Giovanni Samminiati dalla città natale, nacque a S. Miniato al Tedesco, probabilmente nel 1373.1 Nel 1401 fu eletto all’incarico di lettore presso l’Università di Firenze. Come medico, mercante e usuraio accumulò una fortuna che investì in proprietà a S. Miniato e a Firenze. Nel 1458, alla morte dell’unico figlio rimasto, Chellini nominò erede il figlio del proprio fratello, Bartolommeo di Bartolommeo. Chellini morì a Firenze il 4 febbraio 1462 (s.C.),1a all’età di novanta anni e fu provvisoriamente sepolto in Duomo. In seguito la sua salma fu trasferita nell’ultima dimora a S. Miniato al Tedesco.

     Nel giugno 1455 Chellini aveva fatto costruire una cappella dedicata ai santi patroni dei medici, SS. Cosma e Damiano, nel transetto destro di S. Domenico (già SS. Jacopo e Lucia).2 La costruzione fu completata l’8 aprile 1456.3 Molto probabilmente fino dalle fondazioni Chellini aveva destinato questa cappella a luogo della propria sepoltura. In un testamento del 20 febbraio 1460 (s.C.)1a, dispose di essere sepolto nella chiesa di S. Jacopo in S. Miniato “in tumulo pro eius ordinato in eius cappella”.4

 

 

Quindi la commessa e forse anche l’inizio della tomba (Fig. 121) furono anteriori alla sua morte. Che sia stata completata solo in seguito, per iniziativa del nipote, è rivelato dal contenuto dell’iscrizione, dall’uso di maschere mortuarie per l’esecuzione del volto e delle mani (Figg. 131, 134) e dalla sepoltura provvisoria di Chellini a Firenze.

 

 

 

I gravi danni alla base della tomba potrebbero essere stati inflitti dalla cavalleria di Napoleone acquartierata nel convento di S. Domenico il 18 maggio 1799.5

     La forma attuale della tomba non è originale.6 Il frontone spezzato e le decorazioni in stucco sono probabilmente aggiunte del XVIII secolo. Le parti restanti della tomba risalgono al XV secolo ma appartengono a due momenti diversi.

 

 

Secondo una ricostruzione dello stato originario della tomba che ho pubblicato nel 1969 (Fig. 122),7 l’effigie poggiava su un sarcofago, oggi perduto, sorretto dalle due mensole che attualmente si trovano sopra i capitelli dei pilastri. Le due mensole affiancavano l’epitaffio posto direttamente sotto il sarcofago. Gli attuali pilastri si alzavano dalla testa e dai piedi dell’effigie (Fig.125) per sorreggere una lunetta semicircolare delimitata inferiormente da una trabeazione continua la cui cornice superiore attualmente sormonta la base della tomba. Sul davanti del sarcofago c’era un rilievo, forse un Ecce Homo.

 

 

Molto probabilmente una Madonna col Bambino a mezzo busto, scolpita o affrescata, ornava la lunetta, mentre un affresco, forse la Resurrezione di Cristo, era destinato alla parete posteriore della nicchia, ma non fu mai eseguito.

     Con discrepanze che non raggiungono l’1%, le misure esistenti della Tomba Chellini sono semplici frazioni o multipli del braccio (58,4 cm.). La larghezza dei pilastri è 1/3 di un braccio. L’intervallo fra loro è dieci volte più grande, cioè 3 braccia e1/3, cosicché la larghezza totale del monumento è di 4 braccia. L’altezza dei pilastri, compresi i capitelli ma esclusi i plinti floreali, è di 3 braccia e 1/3. Quindi la parete di fondo della nicchia formava un quadrato. L’altezza totale dell’ordine, dalla base sotto il plinto attraverso il capitello, è dieci volte l’altezza del capitello, cioè 3 braccia e 1/2.8  

   Sulla base di queste misure si possono ricostruire le proporzioni dell’intera tomba. Poiché l’interno della nicchia è di forma quadrata, è probabile che lo fosse anche l’esterno. Questo consentirebbe 28,2 cm. per l’altezza della trabeazione. Poiché la cornice superiore è alta 9 cm., l’architrave e il fregio dovevano misurare 19,2 cm., cioè ⅓ di braccio.

L’altezza dell’interno della lunetta doveva misurare la metà della distanza tra i pilastri, cioè 96,5 cm., e l’archivolto intorno alla lunetta sarebbe stato probabilmente largo quanto i pilastri. La distanza dalla sommità della trabeazione all’apice della tomba sarebbe stata così pari a 8 mm. meno di 2 braccia. Se la parte inferiore della tomba era di dimensioni uguali a quella superiore e se l’epitaffio era contiguo al sarcofago, allora il sarcofago doveva misurare 87,6 cm, cioè 1 braccio e 1/2 – quasi esattamente l’altezza del sarcofago della tomba Bruni. Così il quadrato centrale di 16 braccia quadrate sarebbe stato delimitato sopra e sotto da un rettangolo di 8 braccia quadrate e la tomba sarebbe stata alta esattamente il doppio della larghezza.

      Il tipo di tomba al quale apparteneva la Tomba originale di Giovanni Chellini, in cui le mensole sorreggono un sarcofago scolpito su cui poggiano due mensole verticali sormontate da un frontone, è piuttosto frequente nel XIV secolo. La tomba di Tommaso Pellegrini (m. 1392) in S. Anastasia a Verona (Fig. 220) è un esempio di questo tipo.9

 

 

Ma è anomalo nella scultura funeraria toscana del Quattrocento. Nel corso del secolo le tombe poste a terra sono molto più frequenti delle tombe su mensola, ma soprattutto dopo la tomba Bruni. Benché le tombe su mensola non fossero rare, nell’insieme seguivano il tipo del Monumento Coscia o della Tomba del Vescovo Salutati di Mino da Fiesole nel Duomo di Fiesole. Infatti nel XV secolo esiste una sola tomba paragonabile alla Tomba Chellini: la Tomba di Filippo Lazzari (m. 1412) di Antonio e Giovanni Rossellino in S.Domenico a Pistoia, 1464-67 (Fig. 221), come ricostruita da Bruno Bruni (Fig. 223).10

 

 

 

Lì, delle mensole sorreggono un sarcofago sul quale giace l’effigie. Le mensole poste alle due estremità del sarcofago sono sormontate da una trabeazione continua sormontata da una lunetta semicircolare contenente una Madonna dipinta.11 Gli angeli che attualmente tengono aperte le cortine si trovavano in origine alle due estremità della cornice. Il rilievo stava sopra l’effigie nella parete di fondo della nicchia. Le dimensioni della tomba così come stabilite nei contratti sono quelle della Tomba Chellini: “Que sepultura est altitudinis brachiorum otto a latitudinis brachiorum quatuor.” 12

     La Tomba Chellini rappresenta un ritorno al Trecento anche per altri aspetti. Nel Quattrocento l’epitaffio da sotto il sarcofago fu spostato in un posto d’onore sulla facciata del sarcofago stesso, mentre l’effigie diventò il punto focale della tomba essendo stata posta al centro sopra un catafalco, e messa in risalto da semplici lastre di marmo. In concomitanza con l’esaltazione del defunto fu la graduale secolarizzazione del monumento con il risultato che le immagini religiose furono confinate nella lunetta, con la Madonna col Bambino affiancata da angeli. Nella Tomba Chellini entrambe queste tendenze erano invertite: evidentemente le immagini religiose dovevano avere la precedenza sul defunto. Per questa ragione sembra probabile che la tomba fosse, in larga parte, il prodotto dei desideri di Chellini e che riflettesse i gusti e la mentalità di una persona formata alla fine del Trecento e non quelli di un artista del Rinascimento, e neanche del nipote di Chellini, Bartolommeo, nato nel 1438. È interessante notare che l’unica tomba del XV secolo che assomiglia a quella del Chellini e per la quale  fu indicato dal committente uno specifico modello del XIV secolo, la Tomba Lazzari, fu anch’essa commissionata da un uomo nato molto tempo prima della fine del XV secolo e molto anziano nel momento in cui dette le disposizioni per la tomba.13

     In epoca successiva, probabilmente verso la fine del XV secolo, l’epitaffio fu rimosso da sotto il sarcofago e incorporato in un basamento aggiunto sotto la tomba (fig. 123).

 

 

Le proporzioni e la decorazione del basamento (Fig. 124), diametralmente opposto alla parte superiore della tomba, indicano il coinvolgimento di una diversa bottega. La nuova base non era sostanzialmente diversa dalla base attuale. Molto probabilmente sopra l’iscrizione  è apparsa una fascia di marmo verde alta 5 cm. per far corrispondere le strisce sopra e sotto la lastra di marmo rosso. Le mensole sporgevano 3,5 cm. più di oggi, e sotto ad esse una modanatura alta 5 cm offriva una transizione tra i piani divergenti della voluta e della lesena.

Alla sommità della base c’era una stretta cornice alta tra 15 e 20 cm.

     Sembra che non ci sia stata alcuna ragione dietro l’aggiunta della base oltre alla modernizzazione di quello che deve essere sembrato un monumento molto antiquato. Il tipo di tomba al quale la Tomba Chellini venne ad assomigliare per l’aggiunta della base era eminentemente romano e fu probabilmente inventato da Andrea Bregno dopo il 1480. Un esempio è la Tomba del Vescovo Didaco Valdes (m. 1506) in S. Maria di Monserrato, a Roma.14 Come la seconda disposizione della Tomba Chellini, queste tombe sono una combinazione di tombe a terra e di tombe a mensola.

Dentro il tipo di nicchia ideato nella Tomba Bruni era inserita una piattaforma trattata come una cornice, sorretta da mensole, che a sua volta sorreggeva un sarcofago con gambe sporgenti. La piattaforma sormontava una base alta circa quanto la base Chellini in cui due rettangoli verticali fiancheggiavano un rettangolo più ampio. Di fronte, se non di profilo, la composizione assomigliava alla sequenza di lesene che fiancheggiavano la lastra di marmo rosso, di mensole che sorreggono una cornice bassa, ulteriori mensole e il sarcofago nella Tomba Chellini. Infatti, la tomba la cui base si avvicina di più a quella della Tomba Chellini, la Tomba di Filippo Decio di Stagio Stagi nel Camposanto di Pisa (Fig. 225), appartiene a questo tipo anche se manca la nicchia. Tuttavia, poiché il sarcofago della Tomba Chellini si estendeva per tutta la larghezza della tomba e sosteneva la struttura architettonica posta sopra, la tomba aveva bisogno di un basamento più ampio rispetto a quello delle tombe romane a mensola. Per le proporzioni dell’intera base e dei suoi componenti, l’autore della base Chellini ha ritrovato numerosi modelli in tombe romane a nicchia della fine del XV secolo come la Tomba di Ludovico Lebretto (m. 1465) in S. Maria in Aracoeli.

     Nel restauro finale della tomba, le modanature tra le mensole inferiori e le lesene e la fascia di marmo sopra l’iscrizione, la cornice che sormontava la base, le mensole originarie e il sarcofago sono stati rimossi. Per fornire una transizione tra le mensole inferiori e la lastra su cui è poggiata l’effigie, il restauratore ha utilizzato la cornice superiore dell’architrave della tomba originale. Le mensole inferiori, che retrocedono appena all’indietro, erano leggermente arretrate, ancorate più saldamente all’interno della base e consentivano così di sostenere il peso dell’effigie. Per questo motivo le piccole modanature sporgenti sotto le mensole non erano più necessarie. Le mensole che originariamente sostenevano il sarcofago furono spostati sopra i capitelli, rendendo necessaria la costruzione di un nuovo frontone che sporgesse nella stessa misura. Il nuovo frontone era decorato da un rilievo in stucco.

      Disponiamo di un terminus ante quem per il restauro della tomba grazie a un disegno della tomba nel suo stato attuale nel Sepoltuario di Giovanni di Poggio Baldovinetti (Fig. 224).15 Il manoscritto non è datato. Tuttavia, un esame dimostra che  l’autore iniziò a  preparare del materiale per il progetto nel 1722. L’ultimo disegno è datato 1766, mentre la maggior parte dei disegni datati sono del quarto decennio del XVIII secolo. Il disegno della Tomba Chellini può essere datato con un discreto grado di sicurezza nel 1737, poiché uno degli altri due disegni realizzati in S. Miniato al Tedesco porta quella data.16 In ogni caso,il disegno è stato fatto prima che la cappella in cui si trova la tomba passasse ai Pazzi (1762), poiché la descrizione del Baldovinetti implica che tomba e cappella appartenessero alla stessa famiglia.

     Lo stile della parte superiore della tomba suggerisce che il suo restauro non può essere molto anteriore al 1737. Motivi paragonabili alla cornice spezzata, triangolare, incuneata negli angoli, le cui cornici oblique e dritte non coincidono, e le mensole che reggono delle cornici doppie finemente divise da numerose modanature si trovano nella facciata della chiesa di S.Cristina di Filippo Juvarra a Torino, 1715-28 e nel Castello di Stupinigi, 1729-33 rispettivamente. La decorazione in stucco bianco è un segno caratteristico dello stile rococò e anche nella facciata monumentale di S. Cristina c’è un festone simile al nostro.

     Né documenti né fonti secondarie supportano un’attribuzione della Tomba Chellini a Bernardo Rossellino. Eppure la somiglianza formale della Tomba Chellini con la Tomba Lazzari (Fig. 223), e solo con quella tomba tra i monumenti funerari quattrocenteschi, rivela una provenienza dalla bottega del Rossellino, e la data della tomba coincide con il periodo in cui Bernardo ne era a capo.

 

 

 

 

Le mensole che sorreggono il sarcofago Chellini sono identiche a quelle che sorreggono il sarcofago Lazzari (Fig. 221), e l’effigie del Lazzari (Fig. 222) è copiata da quella del  Chellini. Tuttavia, bisogna ammettere che tali somiglianze formali costituiscono una specie di prova d’autore minore e quindi, finchè non si troveranno ulteriori prove, l’origine della Tomba Chellini nella bottega di Bernardo Rossellino deve ritenersi solo probabile.

 

Bernardo stesso non può aver progettato la Tomba Chellini (fig. 121). In contrasto con l’alternanza di vuoto e pieno nelle tombe Medici e Bruni (Figg. 106, 49), che serviva a sottolineare la tridimensionalità di ogni forma, qui i solidi sono concentrati, dato un contorno geometrico unitario che li fa fondere, per poi contrastare una grande quantità di spazio vuoto.

 

 

 

La continuità di piano prodotta dalla congiunzione tra l’effigie e le basi delle lesene caratterizza l’intera tomba. La trabeazione piatta e l’effigie stretta sono indici della scarsa profondità della tomba che malgrado  una nicchia incorniciata da elementi completamente tridimensionali, è paragonabile alla tomba a rilievo della Beata Villana (Fig. 96).

 

 

Con la mancanza di profondità della tomba si accorda la sua mancanza di peso. Lesene lunghe e slanciate sorreggono una leggera trabeazione. Il sarcofago poggia su mensole relativamente corte e strette. L’allungamento dell’epitaffio è aumentato dall’estensione non ortodossa delle alae. L’ornamento denso e plastico di Bernardo contrasta con i viticci sottili, simili a fili sparsi così liberamente sulla superficie del fusto delle lesene (fig. 125) che l’integrità del piano non è disturbata.

 

 

L’uniformità e la stabilità architettonica delle ghirlande di Bernardo contrastano con la varietà dei motivi e la frequenza delle curve. Le modanature sono estremamente sottili e ravvicinate e servono a restringere ulteriormente le proporzioni del fusto.

     Queste caratteristiche sono condivise dall’effigie di Chellini (Fig. 129) le cui proporzioni lunghe e strette si contrappongono alle normali proporzioni dell’effigie di Bruni (Fig. 53).

 

 

Le linee dritte, lunghe e longitudinali delle pieghe di Chellini aumentano l’impressione di allungamento, così come le mani incrociate in basso sul busto e le punte dei piedi appuntite. Anche il libro è diventato più stretto e più lungo.

      La rigidità mortale della posa di Chellini è totalmente diversa dal rilassamento delle membra di Bruni, che suggerisce un uomo addormentato. Mentre le gambe di Bruni sono rivolte verso l’esterno e divaricate, le gambe di Chellini si toccano. Le braccia di Chellini, schiacciate contro il corpo, sono appena piegate e la testa è tenuta molto indietro sul collo, così che, a differenza della testa di Bruni, segue l’asse longitudinale della figura. Il drappeggio condivide la stessa rigidità. Invece di scendere intorno agli arti e cadere nel vuoto, sfiora inflessibilmente la superficie della figura, formando una fragile crosta all’esterno della forma.

 

 

Un confronto tra le osservazioni di profilo delle due figure (Figg. 50, 126) rivela quanto sia stata ridotta la sostanza dell’effigie di Chellini, quanto sia piatto il contorno superiore, come né le braccia né i piedi possano interrompere il profilo orizzontale della figura, che, infatti, è rafforzato dalla ripetizione di pieghe longitudinali. In contrasto con il flusso e riflusso delle forme sporgenti e rientranti, la superficie dell’effigie di Chellini è uniforme e né gli arti né i drappeggi possono espandersi su l’uno o l’altro dei lati.

Le singole pieghe sono schiacciate, compresse l’una sull’altra; le pieghe non si riducono mai gradualmente in cavità arrotondate. Il materiale stesso, a giudicare dalle pieghe fini e dagli orli sottili, è molto più leggero del pesante mantello di Bruni. Anche il libro ha uno spessore di poco più della metà.

     La tensione della posizione di Chellini si riflette nel disegno delle pieghe. A differenza delle curve lunghe e dolcemente ondeggianti delle pieghe di Bruni, le pieghe del tabarro di Chellini seguono un andamento prevalentemente longitudinale. Tuttavia i contorni delle pieghe non sono mai diritti, poiché la loro larghezza è soggetta a una costante espansione e contrazione. A questo corrisponde l’ammaccatura molto sottile, ma costante, della superficie metallica delle pieghe. Insieme a queste pieghe c’è una minoranza di pieghe ricurve che, a differenza di quelle dell’effigie del Bruni e di tutte le figure di Bernardo, non si risolvono da sole, ma semplicemente finiscono o sono bruscamente interrotte da una piega sovrapposta.

     Oltre alle lunghe pieghe che guidano l’occhio dal collo ai piedi, la superficie dell’effigie è disseminata di piccole pieghe, complete in se stesse e ha l’effetto essenzialmente decorativo. Minuscole pieghe ricoprono l’intera superficie del becchetto (fig. 127).

 

 

Banalità che non avrebbero trattenuto Bernardo, come i bottoni della camicia di Chellini, gli anelli alle dita, l’ornamento del cuscino, sono trattate con attenzione ossessiva (Figg. 128, 130).

 

 

Analogamente, un confronto tra le teste delle due effigi (Figg. 57, 58, 59, 132, 133, 134) rivela un maggior grado di generalizzazione nella testa di Bruni: piani più grandi, più lisci che si fondono gradualmente l’uno con l’altro.

 

 

 

 

 

I lineamenti di Bruni sono tutt’altro che regolari; tuttavia la relativa semplicità della superficie ci permette di cogliere più facilmente il quadro strutturale del viso.

     Nella ristrettezza dell’effigie, nell’appiattimento della superficie, nell’allungamento delle proporzioni, nella rigidità della posa e nelle pieghe lunghe e diritte, l’effigie di Chellini è simile all’effigie della Beata Villana di Desiderio da Settignano (Fig. 96).

 

 

Tuttavia le due effigi non sono abbastanza simili per garantire l’attribuzione allo stesso maestro. Il disegno anomalo della Beata Villana contrasta con la convenzionalità del disegno dell’effigie di Chellini. In quest’ultimo, il panneggio è disposto quasi simmetricamente e il bordo inferiore del libro di Chellini divide l’effigie a metà. Mentre la superficie totale della figura può essere più piatta e più regolare, delle forme individuali, come le braccia e le mani e le pieghe sono meno schiacciate e le differenze nei piani non sono eliminate. Dove le pieghe sono separate una dall’altra da una semplice incisione nell’effigie della Beata Villana, nella figura di Chellini gli orli delle pieghe sovrapposte hanno uno spessore palpabile e talvolta sono lavorati a sottosquadro. La rappresentazione del volto e delle mani di Chellini, entrambi tratti da maschere mortuarie, manca della raffinatezza di Desiderio: l’autore dell’effigie di Chellini ha reso più intensa la realtà dell’immagine esplorando ogni ruga e ogni deturpazione prodotta dall’età.  Né l’effigie può appartenere ad Antonio Rossellino. L’importanza che egli attribuiva alla forma plastica non avrebbe permesso una figura così piatta. La superficie uniforme prodotta dalla ripetizione di pieghe schiacciate e diritte si contrappone alla superficie sgorbiata e irregolare da lui creata con il  massiccio ammasso di stoffa. L’effigie imprigionata all’interno della cornice architettonica contravviene all’indipendenza da lui concessa all’unica figura nella tomba del Cardinale del Portogallo. Il modo in cui è trattato il viso nel Ritratto di Chellini di Antonio nel Victoria & Albert Museum a Londra (Figg. 218, 219) in cui neppure un singolo dettaglio della forma va perduto, contrasta con lo scavo aggressivo, quasi imprudente, della superficie del volto dell’effigie.

 

 

Devo confessare che una ricerca approfondita non mi ha permesso di trovare un’altra opera di scultura, né all’interno né all’esterno della bottega del Rossellino, esattamente paragonabile nello stile all’effigie di Giovanni Chellini. Questo fatto è tanto più notevole in considerazione della qualità della figura, che, pur non essendo forse tale da autorizzare un’attribuzione a Bernardo Rossellino o a suoi pari, è certamente di gran lunga superiore al normale lavoro di bottega. Lo stile del panneggio sembra vicino a quello dei seguaci di Donatello, come Giovanni da Pisa nella pala degli Eremitani di Padova. La rigidità della posa e l’esplicito riferimento alla morte nel volto e nelle mani ricordano l’effigie di Mariano Sozzini del Vecchietta al Bargello. A questi indizi credo che possiamo aggiungere quello dell’architettura, senza dubbio progettata ed eseguita dall’autore dell’effigie (fig.121).

 

 

Sia l’effigie che la tomba condividono l’allungamento delle proporzioni, la planarità e la scarsa profondità, la minuzia di scala e la linearità, prodotte in un caso dal taglio molto sottile e perfino a sottosquadro di pieghe quasi prive di volume e nell’altro dall’applicazione di sottili viticci sulla superficie delle lesene.


Note

1. Per la biografia di Giovanni Chellini, vedi Mario Battistini, “Giovanni Chellini, medico di S. Miniato”, Rivista di storia delle scienze mediche e naturali, xviii, 1927, pp. 106ss; Alessandro Gherardi, Statuti dell’Università e studio fiorentino, Firenze, 1881, pp. doc. 85; 375ff, doc. 113.

1a.  S.C. sta per stile Circumcisionis. Primo Gennaio. (Nota del traduttore)

2. S. Miniato al Tedesco, Biblioteca Comunale, Ms U. 2, Priore Fra Gerolamo Rosati, Cronache del convento di S. Jacopo di S. Miniato, 1595, i, fol. 39r. Questo volume è attualmente mancante in biblioteca. La cappella fu costruita durante il priorato di Fra Pietro Francesco di ser Michele di ser Francesco Grifoni, dal 1452 al 1470.

3. Ibid., i, fol. 39v f, anno 1456. Il Chellini dotò la cappella di appezzamenti di terreno a Ribaldinga, Fontevivo, Reggiana e Nocicchio.

Il patronato della cappella passò alla famiglia Pazzi nel 1762 e fu successivamente trasferito ai Settimanni. Vedi R. W. Lightbown, “Giovanni Chellini, Donatello and Antonio Rossellino”, Burlington Magazine, civ, 1962, p. 102.

4. Battistini, op. cit., Rivista di storia delle scienze mediche e naturali, 1927, p. 112, n. 5.

5. Anne Markham Schulz, “The Tomb of Giovanni Chellini at San Miniato al Tedesco”, Art Bullettin, li, 1969, p. 318.

6. Ci sono state molte discussioni e disaccordi su quale parte della tomba sia originale. Cfr. H. von Geymüller, Stegmann-Geymüller, vi, “Pagnio di Lapo di Portigiani”, p. 1; Wilhelm Bode, “Donatello als Architekt und Dekorator”, JPK, xxii, 1901, p. 27, n. 1; Hans Mackowsky, “San Miniato al Tedesco”, Zeitschrift für bildende Kunst, xiv, 1903, p. 216; C. von Fabriczy, “Pagno di Lapo Portigiani”, JPK, xxiv, 1903, Beiheft, p. 123; idem, “Michelozzo di Bartolomeo,” JPK, xxv, 1904, Beiheft, p. 43; Hamburger, pag. 130; Guido Carocci, Il Valdarno da Firenze al mare, Bergamo, 1906, pp. 93f; Weinberger e Middeldorf, Munch. Jahrb., 1928, pp. 85ff; Heydenreich e Schortmiiller, “BR”, T-B, xxix, p. 44; Anna Matteoli, “Il Monumento sepolcrale di Giovanni Chellini nella Chiesa Sanminiatese di S. Domenico,” Bollettino della Accademia degli Euteleti della città di San Miniato, xiv, 1948-49, pp. 17, 21; H.W Janson, “Giovanni Chellini’s Libro and Donatello,” Studien zür toskanischen Kunst, Festschrift für Ludwig Heinrich Heydenreich, Monaco, 1964, p.137.

7. Per un’argomentazione dettagliata per la successiva ricostruzione della tomba, vedi Schulz, op. cit., Art Bulletin, 1969, pp. 318ff.

8. Anche le misure più piccole sono state calcolate in base al braccio sebbene in genere manifestino percentuali di errore maggiori rispetto alle misure più grandi. I capitelli sono circa 1/3 per 1/2 braccio. La larghezza delle mensole è più vicina a 1/3 braccio. I plinti fioriti misurano 1/8 per circa 1/2 braccio. Il rettangolo dell’iscrizione è lungo quasi esattamente 2 braccia.

9. Le altre sono la Tomba di Fra Ildebrandino Cavalcanti di Firenze, Vescovo di Orvieto (m. 1279), S. Maria Novella, Firenze (se la sua disposizione attuale è, o segue, l’originale); Tomba di Ranieri degli Uberti, Vescovo di Volterra (m. 1290/96), S. Domenico, Arezzo (mancano i peducci); il Monumento dei Cerchi, S. Francesco, Assisi, chiesa inferiore, XIV secolo, della bottega dei Cosmati; la Tomba di Cino di Sinibaldi, 1337-38, Duomo, Pistoia; la Tomba di Ligo Ammanati (m. 1359), Camposanto, Pisa; l’Arca di S. Margherita, S. Margherita, Cortona, 1369; la Tomba di Guidone da Montechiaro (m. prima del 1380), S. Anastasia, Verona.

10. “Per il monumento sepolcrale di Filippo Lazzari”, Chiesa monumentale di S. Domenico, supplemento a Voce di S. Domenico, Pistoia, 16 ottobre 1932, pp. 43s. La tomba, così come ricostruita, si avvicina molto di più alla Tomba di Cino di Sinibaldi del 1337-38 (s.C) nel Duomo di Pistoia, che il padre di Filippo, Sinibaldo, aveva designato nel suo testamento come modello per la scena del maestro e suoi allievi nella tomba del figlio (Stefano Orlandi, O.P., Il Beato Lorenzo da Ripafratta, campione della riforma domenicana del sec. xv, Firenze, 1956, pp. 8off, doc. 9).

11. Pagamenti per la Madonna sono riportati da Peleo Bacci, “Una celebre opera d’arte fiorentina”, Il messaggero toscano, Pisa, 7 dicembre 1916, ristampato in Il popolo pistoiese, Pistoia, 6 gennaio 1917.

12. Gaetano Milanesi, Nuovi documenti per la storia dell’arte toscana dal xii al xv secolo, Firenze, 1901, pp. 112ff, doc. 133, 135.

13. La tomba fu commissionata dal padre di Filippo, sopravvissuto al figlio di trentacinque anni (Orlandi, Il Beato Lorenzo, p. 44, n. 12). Una percentuale così alta di queste tombe commemora i professori (Gino di Sinibaldo, Ligo Ammanati, Lazzari, Chellini) che viene da chiedersi se il tipo possa essere stato identificato con la professione, almeno in Toscana. D’altra parte, in tombe di questo tipo venivano sepolte anche persone distinte in altri modi, mentre talvolta i professori venivano sepolti in altri tipi di tombe.

14. Altri includono la Tomba di Cristoforo della Rovere (m. 1479), S. Maria del Popolo, di Andrea Bregno e Mino da Fiesole; la Tomba di Giorgio Costa (m. 1508), S. Maria del Popolo; la Tomba di Pietro Rocca, Vescovo di Salerno (m. 1482), S. Maria del Popolo; la Tomba di Benedetto Sopranzi, Vescovo di Nicosia (m. 1495) S. Maria sopra Minerva. Esiste addirittura una variante di questo tipo in cui il sarcofago poggia direttamente su mensole. Esempi includono la Tomba di Nerone Diotisalvi (m. 1482), S. Maria sopra Minerva, Roma, e la Tomba di Ferdinando di Cordoba (m. 1486), S. Maria di Monserrato, Roma.

15. Firenze, Biblioteca Riccardiana, Codice Moreni, 339, fol. 42r.

16. Ibid., fol. 19r.

 


 

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