LA BATTAGLIA DEI CENTAURI
MICHELANGELO BUONARROTI, 1491-1492 circa
Museo della Casa Buonarroti, Sala dei marmi
La Scheda di restauro
La tecnica di realizzazione
Michelangelo realizzò la Battaglia dei centauri fra il 1491 e il 1492 circa, quando era giovanissimo, durante il suo apprendistato a Firenze presso il giardino di San Marco, dove ebbe modo di confrontarsi con i suoi contemporanei e con le opere di epoca romana collezionate dai Medici.
Molto probabilmente il committente dell’opera fu Agnolo Poliziano che suggerì a Michelangelo di ispirarsi a un mito connesso alle fatiche di Ercole secondo cui l’eroe avrebbe liberato Deianira, sua promessa sposa, dalle nozze con il centauro Euritione, ucciso durante una zuffa furibonda con i centauri.
Il blocco di marmo a forma di parallelepipedo, presumibilmente di riuso, probabilmente è stato scolpito partendo da modelli eseguiti in creta e riprende i sarcofagi classici, come dimostrano i viluppi di figure avvinghiate nella lotta.
Nella sua incompiutezza (probabilmente attribuibile alla morte del committente Poliziano l’8 aprile del 1492), l’opera racconta la perizia del giovane nella lavorazione del marmo a vari livelli di finitura: dal quasi tutto tondo delle figure più emergenti, al rilievo appena accennato di quelle sullo sfondo.
La superficie reca ancora i segni lasciati dagli strumenti di lavorazione, come ad esempio la subbia, usata per la sbozzatura del bordo superiore, e della parte interna e laterale, la martellina utilizzata sui lati, le tracce di una subbia di dimensioni più piccole nella parte inferiore dell’opera, i segni dell’ugnetto e di scalpelli di dimensioni sempre più piccole con punte molto affilate si leggono invece su tutte le superfici dei corpi fino alle figure abbozzate sul piano di fondo, mentre alcune figure presentano parti della muscolatura perfettamente levigate e lisciate.
Lo stato di conservazione
L’opera, conservata presso il Museo della Casa Buonarroti, prima del restauro si trovava in uno stato di conservazione discreto. La consistenza materica del marmo è da subito apparsa ottima eccetto piccole imperfezioni presenti sulla superficie, come forellini – i cosiddetti “taroli” – e piccole micro mancanze che erano già state segnalate nel corso dell’ultimo restauro.
La lettura dell’altorilievo, tuttavia, è apparsa compromessa dai depositi incoerenti e coerenti che uniformemente coprivano la superficie; inoltre a causa di illuminazione inadatta e della presenza di un box in plexiglass la lettura dell’opera è apparsa alterata. Per questo motivo è stato deciso di intervenire con un restauro conservativo.
La ricca documentazione fotografica dell’altorilievo conservata presso il Museo e l’archivio fotografico delle Gallerie degli Uffizi, testimonia il graduale mutare della cromia del marmo per interventi di manutenzione e puliture parziali effettuate nel tempo.
L’ultimo restauro documentato è quello del 1992, durante il quale furono rimossi consistenti depositi di prodotti protettivi alterati, come cere, colle e residui di malta e gesso. Durante questo intervento furono utilizzati solventi oleoresinosi – come la trementina – che hanno in parte favorito il viraggio del colore verso un tono cromatico bruno, a causa della loro alterazione.
Durante le operazioni di calcatura, eseguite nel 1999 per la realizzazione di una copia in gesso, in occasione di una mostra su Michelangelo giovane a Palazzo Vecchio, è stato utilizzato un copolimero fluorurato come protettivo del marmo, materiale che ha formato una pellicola protettiva che gradualmente ha inglobato il particellato atmosferico ingrigendo la cromia del marmo e rendendo meno leggibile la lavorazione superficiale.
Nel corso degli anni 2000 sull’opera sono state eseguite manutenzioni ordinarie.
Lo studio della documentazione fotografica conservata presso l’archivio del Museo di Casa Buonarroti, la consultazione della relazione tecnica dell’ultimo intervento di restauro e le notizie riportate verbalmente dalle referenti del museo, hanno confermato la necessità di procedere con un approccio scientifico, partendo dallo studio dell’opera attraverso indagini fotografiche a luce visibile e a fluorescenza ultravioletta.
Dopo aver individuato le sostanze ancora presenti sulla superficie del marmo è stato coinvolto l’ISPC – CNR di Firenze per identificare, con misurazioni FT-IR, i materiali esistenti, procedendo con una serie di misurazioni colorimetriche e di riflettanza del marmo prima e dopo la pulitura.
Questa procedura svolta durante tutto il lavoro è stata indispensabile per monitorare l’intervento di pulitura e confrontare l’impostazione metodologica concordata con la direzione dei lavori, consistente in una pulitura selettiva e graduale.
I risultati delle indagini diagnostiche hanno confermato la presenza di depositi incoerenti e coerenti adesi alla superficie del marmo, residui di sostanze cerose e proteiche e la stesura di un copolimero fluorurato su tutta la superficie.
L’intervento di restauro
Il restauro ha rappresentato un’occasione di studio, di conoscenza e di interazione con il messaggio artistico, estetico e tecnico che l’artista ci ha trasmesso nel tempo. Il giovanissimo Michelangelo ha iniziato a scolpire questi marmi sperimentando una tecnica ben precisa e utilizzando quegli strumenti di lavorazione che lo accompagneranno nella sua lunga attività di scultore.
Già da questi primi passi è riconoscibile una calligrafia che sarà la sua personale interpretazione della forma. Dai segni lasciati dagli scalpelli e della subbia dello sfondo emergono le figure, quelle accennate con sottilissimo rilievo in basso rilievo fino a quelle in altorilievo che si contorcono e si divincolano con il movimento superando lo spazio limitato del blocco di marmo.
La lavorazione delle superfici, con i segni sottilissimi e incrociati lasciati da piccole gradine, crea un chiaroscuro sui corpi dei centauri e dei lapiti ancora leggibile, mentre le parti più levigate riflettono la luce creando una tangibile tensione dei corpi.
Nel rispetto dell’opera e delle molteplici superfici che essa presenta, riconducibili alla personale narrazione di Michelangelo, in accordo con la direzione dei lavori è stata dapprima avviata una campagna di indagini propedeutiche e coadiuvanti il restauro: fotografie a luce visibile, a fluorescenza indotta UV e a luce blu, indagini Scientifiche FT-IR e colorimetriche e di riflettanza.
Con le evidenze emerse dalla campagna diagnostica è stato definito l’intervento di pulitura.
La fase di pulitura selettiva e graduale è infatti iniziata con l’asportazione dei depositi incoerenti mediante aspirapolvere a bassa potenza e pennellesse a setole morbide e con una serie di test con solventi blandi che hanno consentito di orientare la scelta verso l’uso dell’acetone, dopo aver accertato la presenza del copolimero fluorurato alterato che nel corso del tempo aveva ingrigito la superficie del marmo ed inglobato particelle di pulviscolo atmosferico.
La sostanza utilizzata per la protezione del marmo durante la calcatura, ovvero il copolimero fluorurato idro e oleorepellente a base di elastomero fluorurato nonostante le caratteristiche di inerzia e reversibilità, con il suo invecchiamento ha creato alterazioni nella percezione cromatica e materica dell’altorilievo.
Si è proceduto all’asportazione dell’elastomero fluorurato con tamponi di cotone imbevuti in acetone puro che, grazie all’elevata volatilità, ne ha favorito l’eliminazione riducendo al minimo il contatto con la superficie marmorea. Successivamente, in accordo con la Direzione Lavori, si è proceduto alla rimozione dei residui di sostanze cerose individuate dalle indagini utilizzando etere di petrolio con tamponi di cotone idrofilo, rifinendo la pulitura localmente, con alcool decolorato ed acqua demineralizzata.
I risultati ottenuti, confortati dalle misurazioni colorimetriche e di riflettanza del marmo, hanno soddisfatto l’impostazione metodologica iniziale.
La cromia del marmo, mutata nel corso dei secoli a causa dell’alterazione e penetrazione dei materiali utilizzati durante le calcature ottocentesche (cere, olii, saponi) e dei materiali di restauro (cere e solventi come la trementina dal colore leggermente ambrato) ha raggiunto un equilibrio che dopo l’attuale intervento di pulitura, favorisce la lettura dell’altorilievo nei suoi dati tecnici scultorei in modo chiaro ed armonico.
Le misurazioni colorimetriche e di riflettanza del marmo hanno altresì individuato un miglioramento dei valori percepibili ad occhio nudo confermando le intenzioni di procedere con prudenza nella pulitura, nel rispetto della storia conservativa dell’opera.
In alcune piccole aree del rilievo dove il marmo, dopo la pulitura, appariva privo di alterazioni cromatiche e quindi più chiaro, sono state eseguite velature ad acquarello Windsor e Newton (tecnica scelta per la reversibilità e la stabilità dei pigmenti utilizzati: terra d’ombra giallo ocra) per equilibrare cromaticamente le piccole aree con le zone circostanti.
La restauratrice Marina Vincenti