Il restauro della ‘Allegoria della Concezione’ del Cigoli
di Rosanna Caterina Proto Pisani
da: “Restauri.” Prospettiva, no. 32, 1983, pp. 87–90
Oggetto della segnalazione di questa scheda è il recente restauro dell’Allegoria della Concezione di Lodovico Cardi detto il Cigoli, esposta nella sezione ‘Per una politica del restauro’ della mostra ‘La città degli Uffizi’ nel Salone dei Cinquecento nel 1982.1
L’opera ricordata dalle fonti, ben conosciuta dagli specialisti e variamente datata dalla critica appartiene alla produzione giovanile dell’artista: fu infatti commissionata nel giugno 1589, completata e posta sull’altare della Compagnia della Concezione della Chiesa di San Michele a Pontorme prima dell’ottobre del 1590, come risulta dai documenti di archivio di recente pubblicati.2
L’iconografia del dipinto è ripresa dalla composizione dell’ ‘Immacolata Concezione’ dei Santi Apostoli eseguita nel 1540 per Bindo Altoviti dal Vasari che si era ispirato all’interpretazione figurativa che il Rosso aveva dato ad un concetto elaborato dal Pollastra e da altri letterati.3
Il successo di tale iconografia, anche per il clima instaurato alcuni anni più tardi dal Concilio di Trento nell’accertamento dell’Immacolata Concezione come verità teologica e nell’ esaltazione controriformistica della figura della Vergine, è dimostrato dal gran numero di disegni, copie, repliche esistenti sia dello stesso Vasari che di altri artisti.
Il dipinto del Cigoli, lontano dalla spazialità e dal respiro della prima versione vasariana, è decisamente più vicino alla replica dello stesso Vasari di Villa Guinigi a Lucca in cui l’affollarsi di figure, che gesticolanti si accalcano in vistosi contorcimenti ai piedi della Vergine, rimanda ad un’esperienza di viaggio dell’aretino a Mantova e a Venezia ed a contatti diretti con Giulio Romano.4
A poco più di cinquant’anni di distanza il Cigoli giovane riprende lo stesso soggetto che tanta fortuna avrà in tutta la campagna toscana (fig. 1).
Valgano per tutte le repliche dell’Empoli (quella di Santa Maria a Ripa ad Empoli è del 1596), di Santi di Tito e di Giovanni da San Giovanni.5
Nel dipinto cigolesco è sembrato giustamente a Mina Gregori di cogliere un nuovo processo di modulazione ed alterazione della forma che si evidenzia nelle figure rappresentate in basso, in Eva che nella sua tipologia forza la normalità di un modello di Santi di Tito, e soprattutto nello scorcio del corpo di Adamo che tenta la profondità.6
A questo proposito sembra di particolare interesse poter collegare direttamente al dipinto, e specificatamente alla figura di Adamo, il disegno n.8920 F verso7 del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, conservato tra i disegni del Cigoli e tradizionalmente assegnato all’artista.
Esso rappresenta (fig.2) una figura virile semi sdraiata vista da tergo che rimanda per atteggiamenti e gesto all’Adamo del dipinto. La figura è vista di scorcio, ‘come a tentare la profondità,’ sia nel disegno che nella pittura; il braccio destro appare sollevato in alto, anche se nel disegno la mano ha un gesto come a difendersi o a proteggersi da qualcosa.
Il braccio sinistro perfettamente identico nel disegno e nel dipinto è ripiegato in basso al di sotto del corpo e la gamba destra presenta l’identica posizione con la stessa piegatura e con il piede che si intravede di scorcio.
Si tratta chiaramente di uno studio da ascriversi all’attività giovanile del Cigoli, che il pittore ha poi utilizzato per l’Adamo del dipinto. Ad ulteriore testimonianza che si tratta di uno studio è anche il recto dello stesso foglio che rappresenta un nudo accademico e che sembra piuttosto un’ulteriore riflessione del Cigoli sui grandi maestri: si coglie infatti lo studio di esemplari famosi carracceschi.8
Il dipinto così ben documentato, tappa importante nella carriera del Cigoli da una fase giovanile ad una produzione più matura, aveva subito negli anni precedenti all’ultima guerra (probabilmente nel 1937-38) un incendio che ne aveva danneggiato in maniera irreparabile la parte centrale.
Una statuetta devozionale della Madonna posta davanti alla tavola aveva preso fuoco e, bruciando, aveva messo in pericolo la stessa tavola del Cigoli che, secondo la tradizione orale, era coperta da un drappo viola in segno di penitenza, come usava durante il periodo quaresimale.
Il caso era ben noto alla Soprintendenza e nonostante si fossero ripetute negli anni segnalazioni da parte di diversi funzionari, soltanto nel 1980 era stato possibile ritirarlo per il restauro.
Sottoposto ad un primo esame subito dopo il ritiro il dipinto apparve, al di là del fatto traumatico dell’incendio, in condizioni piuttosto discrete sia relativamente alla pittura che al supporto ligneo.
Il fuoco infatti, come è ben visibile nella foto prima del restauro (fig.3), aveva colpito un buon terzo del dipinto, partendo dal basso al centro e quindi fino all’estrema sommità colpendo anche le mani ed il volto della Madonna.
La parte più danneggiata risultava quella centrale fino all’altezza del ginocchio della Madonna ed il danneggiamento si evidenziava con vaste cadute di colore.
Ciò nonostante l’impressione che si riceveva da questa tavola continuava ad essere quella di una certa completezza. La prima decisione che fu presa concordemente dal direttore dell’Ufficio Restauri, dr.Bonsanti, dalla sottoscritta e dalla restauratrice Annetta Del Vivo, fu quella di salvare anche il colore bruciato.
II primo grosso problema da affrontare era dunque quello di cercare di ammorbidire i sollevamenti di colore sia di quello sano che di quello ormai diventato completamente scuro e ridotto allo stato di carbone. Si tentarono tutti i sistemi ed i materiali a disposizione, ma senza alcun successo.
Solo l’uso dei vapori di piridina sembrò sortire qualche effetto sui vistosi sollevamenti di colore provocati dalla fiammata dell’incendio. Si ricorse quindi al vecchio sistema Pettenkofer, che in questo caso fu l’unico procedimento che garantì un certo miglioramento.
A forza di piccole scatoline imbevute di piridina e con un’enorme pazienza si cominciarono ad intravedere i primi risultati. Rimaneva però da risolvere il grosso problema di far rientrare in sede il colore rigonfiato e dilatato insieme alla mestica.
Il lavoro si rivelò fin dall’inizio di grande difficoltà: la situazione era resa più complessa anche dal fatto che in molti punti fra la tavola e la mestica c’era uno strato di stoppa assai grossa che costituiva un’ulteriore difficoltà per poter fermare il colore sollevato trattandosi di un colore estremamente duro e ribelle.
I risultati ottenuti sono estremamente soddisfacenti dal momento che si è riusciti a ricollocare il colore sia sano che combusto nella sua sede ed a fermarlo con il consueto sistema a cera; soltanto alcuni sollevamenti in basso e sul lato sinistro sono stati fermati con iniezioni di colletta di coniglio.
La documentazione fotografica effettuata durante il restauro (fig. 5) dimostra che non è andato perso nemmeno un centimetro quadrato di quanto esisteva prima dell’intervento. La consueta pulitura a base di Dymethil assai diluito è stata completata a bisturi soprattutto per la rimozione di macchie e schizzi di cera che avevano intaccato il colore.
L’essere riusciti nell’intento prefisso: la conservazione di tutto il colore anche quello carbonizzato ed il suo ripristino nella sede originaria (operazioni eseguite con abilità dalla restauratrice Annetta Del Vivo) ha portato ad una scelta inevitabile.
In alternativa ad una qualunque soluzione di neutro, si è preferito lasciare il dipinto nello stato in cui si trovava ed in cui si trova, con le parti di colore carbonizzato e con le zone dove il colore perduto ha lasciato scoperto il legno annerito dal fuoco. D’altra parte si tratta della testimonianza diretta di una vicenda così traumatica che fa parte ormai della storia del dipinto.
II restauro pittorico, a cura di Sandra Mariotti, si è limitato unicamente a quelle mancanze ο spaccature che avrebbero disturbato la lettura, sulla veste della Vergine e sul fondo della parte sinistra del dipinto. È stato eseguito con perizia preparando in sottotono con colori ad olio velati successivamente con colori a vernice.
Note
1) Cfr. il catalogo La città degli Uffizi, Firenze 1982; soprattutto la sezione ‘Per una politica del restauro’ a cura di G. Bonsanti, pp. 213-241.
2) L’opera è ricordata dal Baldinucci, Delle notizie dei professori di disegno…, tomo IX, Firenze 1771, p. 46, fu datata da Κ. H. Busse al 1595 (Manierism und Barockstil. Lodovico Cardi da Cigoli, Liepzig 1911, p. 23) e dalla Gregori al 1591-1593 (Postilla ritardata a due mostre, con codicillo) in ‘Euteleti’ n. 33, 1960, pp. 97-100; id. in ‘Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della città di San Miniato’, n. 33, marzo 1961, pp. 97-110, soprattutto p. 98 dove lo data al 1591; id. ‘Avant propos sulla pittura fiorentina del Seicento’ in ‘Paragone’ n. 145, 1962, pp. 21-40, soprattutto p. 26). Per i documenti (ASF Compagnie Soppresse n. 653, cc. 3r, 4r, 5r, 7r) si cfr. M. Chappell, Lodovico Cigoli. Essays on his career and painting. University of North Carolina 1971 (tesi di laurea) e più di recente il libro di A. Matteoli, Lodovico Cardi-Cigoli. Pittore e Architetto, Pisa 1980, p. 161 e l’articolo di M. Chappell, On the identification of ‘Crocino pittore di Grand Aspettazione’ and the early career of Lodovico Cigoli, in ‘Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz’ XXVI Band, 1982, 3, p. 334, p. 337 n. 27.
3) Si cfr. a tal proposito il catalogo della recente Mostra di Giorgio Vasari, Arezzo 1981, pp. 102 e ss. soprattutto p. 107, pp. 336-37.
4) Cfr. catalogo Mostra Vasari, cit., pp. 336-37.
5) Il dipinto dell’Empoli eseguito per la Compagnia della Concezione di Santa Maria a Ripa è del 1596; vanno ricordati sempre dell’Empoli quello di Sant’Agostino a Prato e di Santa Chiara a San Miniato al Tedesco. Il dipinto di Santi di Tito è nella chiesa di San Girolamo a Volterra e quello di Giovanni da San Giovanni fu fatto per la parrocchiale di Vico d’Elsa nel 1621. Cfr. Giorgio Vasari (cat. mostra), cit., p. 107.
6) Cfr. Mina Gregori, ‘Rubens e i pittori riformati toscani’ in ‘Rubens e Firenze’, Firenze 1983, pp. 49-50.
7) Il disegno n. 8920 F verso, figura virile semisdraiata, mm. 422×250 (mis. mass.) — matita nera e biacca su carta azzurra — GFS 177176, proviene dal fondo mediceo-lorenese. Sul recto Nudo Accademico – acquarello bruno e biacca su carta tinta di azzurro. Per quanto riguarda il soggetto dell’Immacolata Concezione che in questa versione è molto vicina all’Assunta, si ricorda il disegno n. 966 F recto del GDSU che rappresenta la Madonna seduta sulla mezzaluna, sorretta da due angioli e intorno cherubini, definita tradizionalmente come Assunta il cui verso è stato pubblicato da C. Thiem, Florentiner Zeichner des Frühbarock, München 1977, ρ. 290, che lo considera ‘una riflessione cigolesca’ della pala della Madonna col Bambino del Christ Church di Oxford di Annibale Carracci. Per il paesaggio rappresentato in basso negli stessi disegni, cfr. M. Chappell, ‘Missing pictures by Lodovico Cigoli’ in ‘Paragone’ n.373, Firenze 1981, che collega questi paesaggi con la c.d. pala di Cesena del Cigoli, identificata con ‘La Madonna e quattro santi’, Notre Dame de Bonne Nouvelle, Parigi, firmata e datata al 1601 nel cui sfondo si è voluto riconoscere la rocca malatestiana. L’iconografia dell’Immacolata del disegno del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi n. 9017 F, esposto alla mostra dei disegni del 1913 (Ρ. N. Ferri-F. di Pietro, Mostra dei disegni del Cigoli, Bergamo 1913, p. 15), sulla cui paternità al Cigoli gli specialisti appaiono attualmente molto perplessi, è completamente diversa in quanto la Vergine è in piedi e a figura intera.
8) Per gli eventuali rapporti tra il Cigoli e Annibale Carracci, cfr. C. Thiem, op. cit., p. 290 (e nota precedente) ed inoltre M. Chappell, Cigoli and Annibale Carracci, a collaboration and other connections in Per A. E. Popham, Parma 1981, pp. 137-45.
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