Bruno Santi: Dalle “Ricordanze” di Neri di Bicci

DALLE RICORDANZE DI NERI DI BICCI *

di Bruno Santi

da: Annali Della Scuola Normale Superiore Di Pisa

Classe Di Lettere e Filosofia, vol. 3, no. 1,

Scuola Normale Superiore, 1973, pp. 169–88

 

Ringrazio il mio amico Bruno Santi per avermi permesso la pubblicazione del suo saggio, scritto nel 1973, mentre si apprestava a pubblicare la trascrizione integrale delle Ricordanze, che uscirà presso l’editore Marlin di Pisa nel 1976. (paolo pianigiani)

 

L’esistenza di una fonte documentaria originale, che testimoni con precisione di dati e di particolari utili alla identificazione delle opere un nucleo di produzione pittorica più che ventennale di un artista, e che serva a stabilire precisi termini di progressione cronologica e affinità stilistica con un eventuale resto di produzione non documentato, pensiamo che possa, in ogni caso, costituire un utile strumento di ricerca per un’indagine storico-artistica che abbia come fine la ricostruzione della biografia e dell’attività del pittore.

Le Ricordanze di Neri di Bicci, contenute nel manoscritto originale conservato nella biblioteca della Soprintendenza alle Gallerie di Firenze, di 189 carte per la massima parte ancora inedite, rientrano in questo tipo di fonti. In esse, che possiamo definire una fortunata combinazione di libro di cassa, cronaca domestica e taccuino d’appunti, la polivalenza documentaria è una caratteristica che può addirittura far passare in secondo piano — considerata la scarsa qualità della pittura di Neri di Bicci la direzione principale verso cui muovere nella fruizione di questo strumento: la ricostruzione della sua attività pittorica.


* Il manoscritto originale con le Ricordanze di Neri di Bicci si conserva nella biblioteca della Soprintendenza alle Gallerie di Firenze (Galleria degli Uffizi), con la segnatura «Manoscritti. 2». Esso proviene dal fondo strozziano, è costituito da 189 carte numerate dall’autore che, tuttavia, per una ripetizione, ne conta 188. Non è mai stato pubblicato per intero, anche se vari autori se ne sono occupati.

Chi per primo dà notizie della sua esistenza è il Baldinucci, nella sua Vita di Neri di Lorenzo (sic) di Bicci (Notizie dei professori del disegno … Decennale II del secolo III. Firenze, 1728, 52 sgg.), ma non ha la possibilità di consultarlo direttamente. Le notizie riguardanti le opere di Neri di Bicci che egli riporta sono invece tolte da un estratto delle Ricordanze, di mano del senatore Carlo Strozzi (ora all’Archivio di Stato di Firenze), che contiene i ricordi relativi a molti lavori del pittore, a notizie sulla sua vita e sulla sua attività, ma che è lontano dall’avere la consistenza delle Ricordanze originali. Un lavoro di spoglio pressoché completo è stato fatto dal MILANESI nel Commentario alla vita di Lorenzo di Bicci, contenuto nella sua edizione delle Vite vasariane (cf. n. 1): egli trascrive molti ricordi relativi alle opere, ma di altri riporta solo i dati essenziali (data, committenza, dimensioni, prezzo), costruendo così un catalogo di pitture presenti e illustrate nelle Ricordanze. Questi lavori vengono divisi per soggetto. Aggiunge poi a queste trascrizioni quelle di numerose notizie riguardanti la vita, i rapporti di lavoro con altri artisti, i discepoli, gli episodi curiosi. Identifica così un consistente nucleo di dipinti, massime quelli conservati in musei o chiese fiorentini e toscani, con quelli rammentati nelle Ricordanze. Non gli è stato possibile — ovviamente — identificare con i relativi ricordi opere già scomparse dalla collocazione originaria, ormai sul mercato antiquario o in collezioni straniere e italiane.

Il Poggi, sulla rivista Il Vasari (cf. n. 2), aveva iniziato la sistematica trascrizione del manoscritto, aggiungendo in nota osservazioni e contributi personali alla identificazione di alcuni lavori di Neri di Bicci che il Milanesi non aveva avuto la possibilità di considerare. La trascrizione venne interrotta alla c. 28r del manoscritto.

Queste pagine hanno anche lo scopo di introdurre a una prossima integrale trascrizione e pubblicazione delle Ricordanze di Neri di Bicci.

 

1 G. VASARI, Le vite… Con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi. Firenze, 1885, II, 69-90.

2 G. POGGI, Le Ricordanze di Neri di Bicci (1453-1475), Il Vasari, I, 1928, 317-338; III, 1930, 133-153, 222-234; IV, 1931, 189-202.

3 W. COHN, Notizie storiche intorno ad alcune tavole fiorentine del ‘300 e del ‘400, Rivista d’Arte, XXXI, 1956, 45-48, 61-65, 69-70.


Dall’analisi e dallo spoglio delle Ricordanze esce infatti un quadro pressoché completo dell’ambiente in cui si trova a operare un’attiva bottega di pittore del Quattrocento fiorentino. Abbiamo voluto qui affrontare alcuni temi di indagine, dunque, senza tuttavia pregiudicare la possibilità di trovarne altri, data appunto la grande varietà di motivi di ricerca che le Ricordanze offrono a chi voglia intraprendere uno studio di carattere storico-artistico su questo periodo.

Il problema più ovvio — come si è accennato — è naturalmente la ricostruzione dell’attività di Neri di Bicci durante il periodo compreso nelle Ricordanze: in definitiva l’identificazione delle opere tuttora superstiti con quelle indicate nelle singole annotazioni del suo diario, talvolta con abbondanza di particolari, talaltra accennandone solo per sommi capi le caratteristiche. E’ una ricerca affrontata già con un certo frutto dal Milanesi 1, che tuttavia ne ha dimenticate alcune; lacuna facilmente scusabile in chi ha dovuto svolgere un immenso lavoro di documentazione per rintracciare o identificare le opere degli artisti oggetto di trattazione nelle Vite vasariane. Anche il Poggi 2 e il Cohn hanno affrontato la stessa indagine, ma limitatamente alle opere che rientravano nella parziale trascrizione delle Ricordanze il primo, e nell’ambito di ricerche su documenti che riguardassero singole opere del Quattrocento fiorentino il secondo. Un altro problema la cui soluzione potrebbe allargare la conoscenza di artisti minori dell’epoca in cui si è trovato a operare questo pittore, è l’identificazione della loro presenza nei lavori di Neri di Bicci, sempre sulla scorta del contenuto dei suoi ricordi, dove vien riportato il nome, il tipo di contributo portato all’opera (il rapporto può anche esser rovesciato, nel senso che anche Neri di Bicci si è trovato a operare in subordinazione ad altri) e numerosi dati che, mediante parallele ricerche d’archivio, paragoni stilistici, analisi di particolari, dovrebbero portare ad assegnare nome e paternità ad opere d’arte rimaste finora senza attribuzione. Il caso riguarda soprattutto quel gruppo di intagliatori in legno 1 cui Neri di Bicci ricorre per le cornici che ornano le sue tavole e che forniscono anche lavori di una certa importanza, come crocifissi intagliati, oggetti di arredo ecclesiastico, statue lignee in genere e che, se si esclude il più conosciuto Giuliano da Maiano, non sono fino a ora che una serie di nomi senza caratteristiche e personalità propria.

Dietro a ogni ricerca che si basi su un’attenta lettura del diario di Neri di Bicci, c’è tuttavia la possibilità di ricostruire con una certa precisione di particolari anche l’aspetto e l’attività di una tra le più vivaci botteghe di pittore del Quattrocento fiorentino. Da questa premessa, che nasce considerando i dati numerosissimi riguardanti le committenze, l’ambiente sociale a cui appartengono, i tipi di lavoro richiesti, i fornitori, i collaboratori, le destinazioni delle opere, il discorso si amplia fino a interessare l’intera media borghesia mercantile fiorentina, a cui anche Neri di Bicci chiaramente appartiene.


1 Nel periodo compreso dalle Ricordanze troviamo: don Romualdo abate di Candeli (Ricordanze, c. 20r, 16 gennaio 1455 (1456 s. c.); c. 22r, 28 febbraio 1455 (1456 s.c.); c. 23r, 3 aprile 1456; c. 70v, 12 settembre 1461; c. 127r, 14 luglio 1467; c. 145r, 11 settembre 1469; c. 160r, 8 febbraio 1470 (1471 s.c.); c. 172r, 19 marzo 1471 (1472 s.c.); c. 172r, 21 marzo 1471 (1472 s. c.); Luca di Paolo Mannucci (Ricordanze, c. 47v, 25 aprile 1459; c. 52v, 11 ottobre 1459; c. 53r, 20 ottobre 1459; e. 57v, 6 febbraio 1459 (1460 s. c.); c. 74r, 8 febbraio 1461 (1462 s.c.); c. 74r, 10 febbraio 1461 (1462 s. c.); c. 79v, 6 settembre 1462; c. 83v, 4 marzo 1462 (1463 s. c.); c. 85r, 23 giugno 1463; c. 104r, 15 luglio 1465; c. 133r, 30 giugno 1468; c. 136r, 20 ottobre 1468; c. 139v, 1 aprile 1469); Zanobi di Domenico (Ricordanze, c. 98r, 17 settembre 1464; c. 98r, 4 ottobre 1464; c. 154r, 26 luglio 1470; c. 159r, 14 gennaio 1470 (1471 s. c.); c. 165, 7 giugno 1471; c. 183r, 22 maggio 1473; c. 187v, 10 dicembre 1474).


Essa si contraddistingue per il suo aspetto composito, piccola proprietaria com’è di campi e poderi nell’immediato contado e di immobili in città, tutta presa dai suoi traffici, dai prestiti, dai pegni, dagli affitti, dai contratti, compromessi, riscossioni, mallevadorie, eredità, il quadro dei quali, con la sua particolare terminologia e articolazione si trova tratteggiato nelle Ricordanze con abbondanza di particolari, tanto da dare l’impressione che Neri di Bicci coltivi la sua attività di pittore in subordinazione a quella di mercante, quasi per avere una base finanziaria sicura, a entrate costanti, su cui poter impiantare senza preoccupazioni i suoi traffici.

Questo aspetto della personalità di Neri di Bicci, l’attrazione verso i commerci e il loro mondo, è comprovata dal fatto che nessuno dei figli proseguirà l’opera del padre (ed è pensabile che proprio Neri di Bicci volesse scoraggiare in loro tale tendenza, se mai fosse esistita1): tutti, infatti, entreranno nell’attività commerciale fin dall’infanzia.

Ma tali elementi, sebbene non siano privi di implicazioni per un giudizio anche di carattere storico-artistico sull’opera di Neri di Bicci (per esempio la progressiva standardizzazione di motivi e di esecuzione presente nei lavori che escono dalla sua bottega e che senz’altro deriva da una esigenza sempre più pressante di profitto commerciale), hanno prevalente contenuto socio-economico di cui non possediamo né gli strumenti né la capacità di fruire appieno. La prossima edizione delle Ricordanze speriamo possa fornire anche in questa direzione motivi di interesse per un approfondimento d’indagine: a noi qui sembra sufficiente avere mostrato sommariamente quali siano i contenuti del diario di Neri di Bicci e quali potenzialità documentarie posseggano: di alcune di esse, suffragate da osservazioni, analisi e confronti stilistici, ci serviamo per esemplificare quanto detto finora.


1 Lorenzo di Neri di Bicci, il primogenito, nato il 27 gennaio 1447 (la data si desume dalla ricordanza del 18 novembre 1473, a c. 185r (in realtà 186r) del ms., che rammenta il suo matrimonio con Diamante di Giampiero di Giovanni di ser Piero, all’età di 26 anni, 10 mesi e 22 giorni), fu avviato alla bottega di Antonio del Rabatta, banchiere, il 15 luglio 1460 (cf. Ricordanze, c. 61r); venne quindi affidato al setaiolo Mazzeo di Giovanni di ser Lapo Mazzei il 23 marzo 1461 (Ricordanze, c. 67v). Antonio di Neri fu posto nella bottega dei Mazzei fino dal 22 luglio 1460 (Ricordanze, c. 61v). Di Bicci, terzogenito, nato il 18 marzo 1457 (Ricordanze, c. 30v), non si hanno più notizie all’epoca della chiusura del diario (24 aprile 1475). Neri di Bicci ebbe — stando alle Ricordanze — altre tre figli: Filippo, a balia dal 4 ottobre 1458 (Ricordanze, c. 43r), morto il 17 luglio 1459 (ibid.); Nanna (Giovanna?), a balia dal-1’11 giugno 1466 (Ricordanze, c. 114r), dotata il 26 gennaio 1471 e Gemma, dotata nello stesso giorno (ibid.).


* * *

L’attività di Neri di Bicci come pittore di pale d’altare ebbe notevole richiamo su certa committenza della seconda metà del Quattrocento in Firenze. La stragrande maggioranza di tale committenza proveniva da commercianti non ricchissimi, bottegai, magistrati di cittadine di contado, procuratori di confraternite o conventi di media grandezza. Clienti che richiedevano una certa attualità di forme nelle pitture che ordinavano, e che a loro nome avrebbero ornato tabernacoli, cappelle e chiese, ma la cui scarsa educazione ai principali problemi figurativi affrontati dalla maggior pittura del tempo si compiaceva ancora dell’appariscenza degli sfondi dorati, della frontalità delle figure, risultanti così di chiara leggibilità, della sovrabbondanza di ornamenti e fregi nei particolari. Tali elementi eran comuni nei dipinti che uscivano dalla bottega di Neri di Bicci.

Vorremmo però avvertire che un panorama della committenza di Neri di Bicci che si basasse esclusivamente su tale clientela sarebbe parziale, così come parziale sarebbe l’idea di una cultura artistica completamente progressista nell’alta borghesia fiorentina, se non notassimo che tra i committenti di questa bottega, e di questo tipo di opere, si trovano anche nomi appartenenti alla classe dirigente economica e politica della città, quali gli Spini, i Soderini, i Rucellai, i Davanzati, i Salviati, i Vettori, i Nerli e la stessa Signoria 1.


1 Per Giovanni e Salvestro Spini Neri di Bicci dipinge sulle pareti della loro cappella di famiglia in Santa Trinita gli affreschi con storie di S. Giovanni Gualberto, oggi scomparsi (Ricordanze, c. 2r, 4 maggio 1453 e ibid., 12 maggio 1453); quindi la pala con l’Assunzione della Vergine che doveva essere posta sull’altare della stessa cappella (Ricordanze, c. 10v, 28 febbraio 1454 (1455 s.c.) (cf. infra, 179, n. 1). Coi Soderini i rapporti di lavoro sono frequenti: per Tommaso di Lorenzo egli esegue la parte dipinta di un tabernacolo con la figura della Vergine e il Bambino in gesso (Ricordanze, c. 7v, 18-31 agosto 1454); ridipinge una Madonna «alla grecha molto anticha» destinata alla cappella di S. Maria delle Selve presso Lastra a Signa (Ricordanze, fol. 8r, 8 settembre 1454; ibid., c. 15r, 10 settembre 1455; ibid., c. 23v, 8 aprile 1456); colorisce alcuni stemma in pietra nella chiesa di S. Frediano (Ricordanze, c. 101v, 17 maggio 1465); dipinge un tabernacolo intorno a una tavola d’altare più antica, nella stessa chiesa (Ricordanze, c. 142v, 26 luglio 1469); trasforma e ripassa un polittico trecentesco (Ricordanze, c. 169v, 31 ottobre 1471) (cf. infra, 175, n. 2), fornendolo quindi di una cortina e di un dossale in legno dipinto (Ricordanze, c. 169v, 8 novembre 1471 e ibid., c. 170r, 7 dicembre 1471). A Giovanni Rucellai decora con affreschi alcuni archivolti nella sua abitazione, dipingendovi lo stemma di famiglia e figure allegoriche (Ricordanze, c. 12r, 6 giugno 1455). Tra i numerosi tabernacoli da camera eseguiti da Neri di Bicci, uno gli viene commissionato da Davanzato Davanzati (Ricordanze, c. 65r, 22 novembre 1460). Nella chiesa di S. Leonardo in Arcetri dipinge due pale d’altare per Bernardo Salviati (Ricordanze, c. 68v, 23 maggio 1461 e c. 126v, 1 giugno 1467). Ad Agnolo Vettori esegue una tavola d’altare con l’Annunciazione per la chiesa delle Campora (Ricordanze, c. 91v, 9 gennaio 1463 (1464 s. c.) e 28 marzo 1464). Francesco Nerli lo incarica di fornirgli una pala per S. Felicita, poi non eseguita (Ricordanze, fol. 92v, 4 marzo 1463) (1464 s. c.), mentre Tanai gli commissiona, per la stessa chiesa, una tavola con S. Felicita e i figli (ibid., fol. 95r, 30 maggio 1464). La Signoria di Firenze, infine, sotto il gonfalonierato di Tommaso di Lorenzo Soderini, gli dà l’incarico di dipingere un tabernacolo con le figure di Mosè, San Giovanni Battista e i simboli degli Evangelisti per la Sala dell’Udienza nel Palazzo dei Priori (Ricordanze, c. 7v, 15 luglio 1454).


Così il discorso che dianzi pareva così chiaro nella formulazione di un preciso rapporto — e dipendenza — tra la pittura di tipo conservativo di Neri di Bicci e un certo tipo di committenza, si intorbida e si complica. Per la spiegazione del fenomeno si deve ricorrere, dunque, ad argomenti che riguardano non tanto la qualità artistica dell’opera di Neri, ma a dati che lasciano il giudizio estetico al di fuori del discorso. Quindi, l’attrazione che poteva suscitare in ogni tipo di clientela una bottega esercitata da una lunga, attiva esperienza; un cospicuo numero di anni di operosità ininterrotta e feconda 1; la capacità di soddisfare ogni tipo di richiesta e ogni tipo di lavoro artigianale nel campo della pittura; la stessa rapidità nel portare a compimento le opere: potrebbero questi esser elementi convincenti nel dare una solida garanzia alla bottega del pittore. A lui si chiede di tutto, dunque. Di dipingere concî di pietra, stipiti, elementi architettonici; di dorare cornici, tabernacoli. Di colorare reliquiari e rilievi di gesso per le immagini sacre da porre in camera da letto.

Anche di ripassare, restaurare, ridipingere vecchie tavole che avevan subìto l’offesa del tempo oppure non rispondevano più ai gusti mutati della committenza al cui patronato già appartenevano.


1 Le Ricordanze, che documentano il periodo centrale della sua attività, iniziano il 10 marzo 1453 e terminano il 24 aprile 1475. Sono quindi 23 anni di attività di bottega minuziosamente testimoniata. Ma la sua ultima opera datata è una tavola con la Vergine, il Bambino, le Sante Cecilia, Anna, Maria Maddalena e Caterina, ora nella Pinacoteca di Siena (1482); abbiamo inoltre un documento del 1 novembre 1488 che comprova la sua attività fino a tale data. Si tratta di uno sportello dipinto per la cella di suor Cecilia superiora del convento di S. Maria a Monticelli (ASF, Conv. Soppr. 98, Giornale A del Convento di S. Maria a Monticelli, c. 44v). L’ultima notizia che riguarda Neri di Bicci è comunque la stima della tavola di Francesco di Giovanni Botticini, suo vecchio discepolo, che il pittore è invitato a dare insieme con Domenico Ghirlandaio, Filippo di Giuliano, Messo Baldovinetti, per la Compagnia di Sant’Andrea dalla veste bianca della Collegiata di Empoli, cui appunto era destinata la tavola. Questo il 14 maggio 1491 (cf. G. MILANESI, Nuovi documenti per la storia dell’arte toscana dal XIII al XV secolo, Firenze 1901, 160-161).


Di questo tipo di lavori rimangono varie testimonianze nel suo diario1: uno di essi, chiaramente il risultato del restauro e della ridipintura di una tavola più antica, è stato da chi scrive identificato in un busto di Santa Margherita (tav. I), conservato attualmente nel Museo americano Fogg di Cambridge nel Massachusetts e di cui possediamo il preciso riscontro nelle Ricordanze 2

 


1 Per il tabernacolo di S. Maria delle Selve, eseguito per Tommaso di Lorenzo Soderini, cf. supra, 173, n. 1. A don Bartolomeo, priore di S. Simone in Piazza, ridipinge una vecchia tavola a tre colmi, dopo che questa era stata trasformata in una pala d’altare del tipo ‘all’antica’ da Giuliano da Maiano (Ricordanze, c. 28r, 14 gennaio 1456 (1457 s. c.) e ibid., c. 29r, 15 gennaio 1456 (1457 s. c.) e ancora c. 33v, 22 giugno 1457 e c. 34r, 31 agosto 1457). La tavola d’altare così rifatta era destinata a S. Gersolè. Per il setaiolo Leonardo Boni dipinge intorno a una tavola con una Madonna più antica un tabernacolo decorato a motivi vegetali. Nella gocciola del tabernacolo, la figura di S. Girolamo (Ricordanze, c. 93r, 14 marzo 1463 (1464 s. c.) e ibid., c. 93v, 23 aprile 1464). Per Lorenzo Fiorini Neri di Bicci restaura e ridipinge una vecchia tavola destinata alla chiesa di S. Biagio (Ricordanze, c. 155r, 22 agosto 1470). Ancora, per Niccolò Sernigi sistema un tabernacolo con una Madonna dugentesca in un altro di dimensioni maggiori, da lui decorato (Ricordanze, c. 157r, 8 settembre 1470). Del polittico trasformato per Tommaso Soderini (Ricordanze, c. 169v, 31 ottobre 1471) parliamo per esteso nel testo. E’ da aggiungere a questa vasta documentazione la ridipintura di una tavola del XIII sec. che egli esegue nel 1482 per S. Maria delle Selve, su commissione di Filippo Strozzi. Attualmente la tavola è esposta nella chiesa di Lecceto (Lastra a Signa). Cf. E. BORSOOK, Documenti relativi alle cappelle di Lecceto e delle Selve di Filippo Strozzi, Antichità Viva, III, 1970, 6, 8, 12, 17-18. Questo lavoro fu ovviamente compiuto al di fuori del periodo di tempo compreso nelle Ricordanze.

2 Cf. Ricordanze, c .169v.:«G(i)ovedì a dì 31 ottobre 1471. Tavola rachonc(i)ata a meser Tomaso Soderini per in Santo Friano. Richordo ch’el sopra detto dì mandai a meser Tomaso Soderini una tavola d’altare, la quale si misse nella chiesa di San Friano di Firenze a uno altare à fatto fare di nuovo allato a l’usc(i)o della sagrestia di detta chiesa, la quale tavola fu g(i)à fatta antichamente chon civori e fogliami sechondo s’usavano a quello anticho tenpo. ed io la fe’ rachonc(i)are e riducere a l’uso di ogi, c(i)oè cholonne dallato e di sopra architrave, freg(i)o e chornic(i)one e feci rinvestire e raghuagliare le punte de’ cholmi di detta tavola e di tuto di legniame la fe’ rachonc(i)are a Domenicho legniaiuolo a San Tomaso e a Zanobi suo figliuolo, della quale achonc(i)atura el detto Domenicho n’ebe per me dal detto meser Tomaso e per lui da Lorenzo e Piero Lenzi lanaiuoli f. dua larghi per llegniame e achonc(i)atura. E dipoi io Neri detto la rimissi tuta d’oro gli ornamenti e inn asai luoghi ne’ chanpi delle fighure e lle chornici della predella, e’ pilastregli e.lle chornici della base della tavola sopra la predella dove sono lette(re) de’ nomi de’ Santi e.lle cholonne dallato e di sopra le chornici e architrave e chornic(i)one d’oro fine e rifeci quatro agnioletti di nuovo e ritochai tute le fighure vechie e quasi tute le ricolori(i) e feci d’uno Santo Friano Santa Margherita e rimissi d’azuro da pie’ e.lle fighure e i cholmi de’ 4 agnioletti e di sopra el freg(i)o del chornic(i)one chon uno fogliame d’ariento lavorato e tuta riadornata e richolorita e rachonc(i)a, posta in sull’a(l)tare, ne debo avere tra di legniame e oro e cholori e mia manifatura f. dodici larghi, c(i)oè f. 12, per legniame e per pezi setanta d’oro fine 1. 20 s. 8 e per on(ce) 3 d’azuro di Magnia fine 1. 4 s. 19, e per più altri cholori 1. 3 s. 12: in tuto 1. 40 e per- lla mia faticha e magistero 1. 25, sì che in tuto fa la soma di f. dodici larghi per tute le sopra dette chose fatte e ispesi per detta tavola per chomesione ànne lasc(i)ata el sopra detto meser Tomaso quando andò inbasc(i)adore a Milano del mese d’aghosto 1471. Posto de’ dare a Libro D a c. 191. f. 12 lar(ghi). E più de’ dare a di 8 di novenbre per•la dipintura della chortina dipinta per detta tavola, d’atorno un freg(i)o e nel mezo 1° Giesù a mia ispesa 1. due s. dieci. f. 1 s. 10 a c. 191».


Il contenuto così ricco di particolari del ricordo ci informa che si tratta non solo della ridipintura di una tavola precedentemente eseguita, ma addirittura del rifacimento del vecchio supporto, che era « chon civori e fogliami », cioè con le caratteristiche decorazioni a motivi vegetali intagliate proprie del coronamento dei polittici gotici. Che questa trasformazione rientrasse nelle regole del tempo, ne sono esempio, solo per trattare i casi più famosi, i supporti del polittico con l’Incoronazione della Vergine o Polittico Baroncelli nella cappella omonima di S. Croce e quello del dossale di Meliore, anch’esso ritoccato in diverse parti (le testine d’angeli nei pennacchi dei colmi). La trasformazione della cornice fu eseguita dall’intagliatore Domenico da San Tommaso e da suo figlio Zanobi, collaboratori per le parti in legno a tante altre opere di Neri di Bicci.

Il punto più indicativo della ricordanza è quello in cui il pittore parla dell’intervento sulla superficie dipinta: « …e ritochai tute le fighure vechie e quasi tute le richolori e feci d’uno Santo Friano 1a Santa Margherita… ». Si trattava dunque, come si può comprendere dal testo, di un polittico a più colmi, le cui figure occupavano ciascuna un elemento. La trasformazione del Santo vescovo lucchese nella Santa martire è chiaramente avvertibile nella tavola di Cambridge. La Santa presenta il volto deteriorato da un restauro forse troppo vigoroso, ed è accompagnata, secondo la tradizione iconografica, dal dragone ammansito; reca in mano la palma del martirio, ridotta dal modulo semplificativo del pittore alle dimensioni e alla forma d’una penna d’oca. Ma dietro al capo l’aureola reca iscritto, in lettere gotiche, il nome SCS FRIGDJANUS e alle spalle si intravede chiaramente, inciso sullo sfondo dorato, il ricciolo d’un pastorale, simbolo dell’autorità episcopale del Santo.

Ecco dunque evidenti gli estremi della trasformazione del dipinto effettuata da Neri di Bicci. Una fortunata coincidenza ha voluto che la identificazione fosse favorita dalla esistenza del nome del Santo inciso sull’aureola, fatto questo non molto comune nel Trecento, ma che in definitiva ha mostrato con chiarezza quale fosse l’operazione di rinnovamento pittorico eseguita da Neri di Bicci.

Non è stato possibile trovare ancora le altre parti del polittico che Neri di Bicci aveva fatto « rinvestire e raghuagliare », cioè riempire nelle parti salienti dei colmi con cunei di legname e segare all’apice perché avessero tutti la medesima altezza. Questa unica ancipite immagine dei Santi Margherita e Frediano (almeno negli attributi) rimane perciò l’unica testimonianza concreta superstite dell’intervento di Neri di Bicci sulla tavola trecentesca, documentata con estrema dovizia di particolari nel diario del pittore.

* * *

Il recente restauro — per alcune parti ancora in corso — della chiesa di S. Trinita a Firenze, ha permesso una rilettura dell’affresco con l’Annunciazione, posto sull’arcone d’ingresso alla cappella Spini, la prima della navata destra volgendo le spalle all’altar maggiore.

L’interno della cappella è completamente imbiancato: sono state rimosse le decorazioni neogotiche eseguite dal marzo all’ottobre 1888 dal pittore Augusto Burchi 1; rimangono bensì da ripulire le decorazioni dipinte sul lato del transetto, ancora annerite da polvere e sudiciume.


1 CAROCCI, Notizie. Restauri a S. Trinita. Arte e Storia, IX, 1888, 64.


Come vedremo, prima delle aggiunte del 1710, la cappella poteva esser considerata come una palestra eloquente della pittura di Neri di Bicci, mediocre divulgatore di maniere pittoriche rinascimentali, commerciante e imprenditore artigiano più che artista, ma abile abbastanza per esser richiesto a una potente congregazione monastica come la Vallombrosana1 e da una solida famiglia di banchieri come gli Spini. Nella cappella, che attualmente ospita la Maddalena lignea di Desiderio da Settignano e Benedetto da Rovezzano (1464-1465), nonché la figura a fresco di un abate vallombrosano, la cui attribuzione è tuttora controversa2, Neri di Bicci aveva affrescato le Storie di San Giovanni Gualberto, certamente prima del maggio 1453, come ci fanno comprendere due suoi ricordi in data 4 e 12, su commissione di Giovanni e Salvestro Spini3.


1 Oltre agli affreschi in questa chiesa per la famiglia Spini, Neri di Bicci esegue per il convento vallambrosano di S. Pancrazio una tavola con S. lacopo (Ricordanze, c. 8r, 5 ottobre 1454), quindi un crocifisso con S. Giovanni Gualberto e S. Pancrazio (Ricordanze, c. 9v, 3 dicembre 1454) e una lunetta con S. Benedetto (ibid.). In S. Trinita dipinge di nuovo per gli Spini e per l’abate del monastero una tavola d’altare con l’Assunzione (Ricordanze, c. 10v, 28 febbraio 1454 (1455 s.c.) cf. infra, 179, n. 1). Viene poi richiamato in S. Pancrazio per affrescare, su commissione dell’abate don Benedetto, una facciata d’arco nel chiostro con S. Giovanni Gualberto in cattedra e membri beatificati e canonizzati del suo Ordine (Ricordanze, c. 11r, I marzo 1454) (1455 s. c.); per dipingere un paliotto destinato all’altar maggiore (Ricordanze, c. 25v, 22 giugno 1456) e un busto di S. Caterina in terracotta (Ricordanze, c. 25v, 28 luglio 1456 e c. 27v, 23 novembre 1456). Un altro monaco di S. Pancrazio, don Giovanni Buonromei, gli commissiona un tabernacolo con gli angeli porta-candelieri e il dossale (Ricordanze, c. 69v, 17 agosto 1461).

2 Il WULFF (Unbeachtete Malereien des 15. Jahrhunderts in Florentiner Kirchen und Galerien, Zeitschrift  für bildende Kunst, XVIII, 1907, 99 sgg.) si pronunzia per un’attribuzione al Maestro del Trittico Carrand (Giovanni di Francesco). Sempre per Giovanni di Francesco, anche se con qualche incertezza date le condizioni precarie dí conservazione dell’opera, è il TOESCA (Il pittore del trittico Carrand p. Giovanni di Francesco, Rassegna d’arte, XVII, 1917, 1). Anche il VAN MARLE (The development of Italian schools of painting, The Hague 1928. X, 388) è di questo parere. Il PUDELKO si pronunzia invece per un non meglio identificato allievo di Andrea del Castagno (Studien iiber Domenico Veneziano, Mitteilungen des kunsthistorischen Institutes in Florenz, IV, 1934, 176). Ritorna a Giovanni di Francesco, ma vicino al Baldovinetti, la KENNEDY WEDGEWOOD (Alesso Baldovinetti … Yale …, 1938, 181), mentre il BERENSON afferma chiaramente l’attribuzione a Giovanni (Italian pictures of Renaissance. Florentine School, London 1963, I, 87).

3 Ricordanze, c. 2r: «A dì 4 di magio 1453. Legniame rendei a Tano legniaiuolo. Richordo ch’el sopra detto dì rendei a Tano legnaiuolo a San Michele Berteldi tre piane d’abeto di bracc(i)a 8 e 9 l’una per l’altra, che m’aveva prestato insino a dì […] 14 per la chapella di Santa Trinita: portòle Chosimo istà mecho. A dì 9 di mag(i)o 1453 gli rimandai 1a piana di bracc(i)a dodici, portò Chosimo istà mecho a botegha. A libro s(egnat)o […] a c. 136» e ibid.: «A dì 12 di magio 1453. Promessa  ànno fatta Domenicho di Chante lina(i)uoli e chonpagni per Giovanni iSpini. Richordo chome il sopra detto dì Domenicho di Chante lina(i)uolo e chonpagni mi promisono per munistero di Santa Trinita di Firenze e per Giovanni iSpini e Salvestro 1. trenta dua per danari avevo da sopra detto munistero e gli altri avere d’una chapella a loro dipinta, chome apare a libro creditori di detti linaiuoli s(egnat)o M a c. 78. 1. 32 A libro s(egnat)o […] a c. 138».


Aveva quindi dipinto la tavola d’altare con l’Assunzione della Vergine e gli Apostoli per gli stessi committenti e per un altro membro della medesima famiglia, anch’egli di nome Giovanni, iniziando l’opera il 28 febbraio 1455 e terminandola prima del 28 agosto 1456, data in cui venne innalzata sull’altare (tav. IV) 1.

 

 

La pala d’altare rimase nella cappella fino al 1720, sopravvivendo così all’imbiancatura degli affreschi per una decina d’anni 2. Essa venne tolta dalla cappella perché i monaci volevano dedicare l’altare a Santa Umiltà; col permesso dell’ultima discendente della famiglia Spini, Maria Camilla, la tavola venne trasportata in sagrestia e fu sostituita con una grande tela del Perini rappresentante l’Assunzione della Vergine in presenza di Santa Umiltà e di Santa Margherita 4. Anche questo quadro durante i lavori di ripristino stilistico della chiesa svoltisi nel tardo Ottocento, fu allontanato dalla cappella, che doveva ospitare, oltre alla Maddalena lignea tolta dal fondo chiesa, anche parte dello smembrato altare di San Giovanni Gualberto, opera di Benedetto da Rovezzano 5. Attualmente è appeso in sagrestia.


1 Ricordanze, c. 10v: «A dì 28 di febraio 1454 (1455 s. c.). Tavola degli Spini. Richordo ch’el sopra detto dì io Neri di Bicci dipintore ò tolto a dipigniere da meser l’abate Bartolomeo abate di Santa Trinita di Firenze e da Salvestro iSpini e da Giovanni del Pechorella iSpini e da Giovanni di Scholaio iSpini tavola d’altare, la quale à stare in Santa Trinita alla loro chapella, la quale lasc(i)ò mona Bancha degli Spini; e’ sopra detti ne sono eseghutori e chome eseghutori del detto lasc(i)o m’aloghorono detta tavola, la quale aveva fatta di legniame Giuliano da Maiano ed è quadra, fatta a l’anticha, d’alteza di bracc(i)a 6 o circha e di largheza di bracc(i)a 5 o circha; nella quale ò a fare una Asunzione di Nostra Donna cho’ dodici Apostoli da pie’ e molti angeli da lato e di sopra; e nella predella tre istorie di Nostra Donna choll’arme loro; messa la detta tavola d’oro fine dov’è bisognio e lavorate le fighure d’azuro oltramarino dov’è di bisognio e tuta bene ornata e cholorita sichome quella fe’ a Charllo Benizi in Santa Filicita e dèbola avere fatta per t(utt)o dì 15 di dicenbre 1455 e loro me ne debono dare per oro e metitura e per cholori e mio maestero in tuto I. quatrocento otanta, c(i)oè 1. 480 in questo modo, c(i)oè al presente 1. 40 e per tuto aprile 1455 1. 40 e di poi ogni mese 1. 20, insino a tanto abia detta tavola fornita e chosi fatto d’achordo cho’ detti di sopra de(tto) dì e per chiareza di c(i)ò n’apare una iscritta di mano di Salvestro sopra detto, la quale deba esere sotoscritto di mano di c(i)aschuno de’ detti e mia. Rendei la detta tavola e rizala sull’al. tare di detta chapella in detta chiesa a dì 28 d’aghosto 1456 e loro la ricevono chome bene se(r)viti, c(i)oè l’abate, Salvestro e Giovanni del Pechorella. A libro D a c. 10).

2 Cf. Istoria della venerabile basilica della Ss.ma Trinità di Firenze, opera del P.re D. BENIGNO DAVANZATI monaco valombrosano et abate di detto luogo l’anno 1740 …, 109. (Manoscritto conservato nel monastero di S. Trinita).

3 Cf. Istoria…, cit., 110.

4 Cf. Istoria…. cit., ibid. e G. RICHA, Notizie storiche delle chiese fiorentine…, Firenze 1755, III, 160.

5 G. CAROCCI,  Notizie. Restauri a S. Trinita, Arte e Storia, XVI, 1888, 127.


La tavola di Neri di Bicci scomparve invece dalla chiesa per riapparire nella raccolta inglese di I. S. W. Sawbridge nel 1850. Da qui passa nella collezione J. Erle Dray, che la mette all’asta a Londra da Christie’s nel giugno del 1929. L’acquisto della tavola fu fatto nel 1930 dalla National Gallery of Canada di Ottawa, dove attualmente è esposta1, stranamente modellata in alto e con una predella posticcia, ricavata probabilmente dalle stesse parti superiori. La precisione dei dati espressi dal pittore stesso nelle Ricordanze, ha permesso al Poggi2 di confrontare soggetto e misure e di identificare la pala del 28 febbraio 1455 in quella messa all’asta da Christie’s. E’ un ulteriore esempio di come il diario di Neri di Bicci abbia contribuito al chiarimento di dubbi circa la paternità di opere che, come la presente, mancavano di attribuzioni perlomeno ragionevoli, non essendovi mai stata scorta la sua mano; fatto che, tuttavia, qui può apparire ancora comprensibile, poiché la tavola appartiene a un periodo che si può definire iniziale, lontano dallo stile che caratterizzerà in modo così riconoscibile le sue opere più tarde. L’Assunzione era infatti stata attribuita a Matteo di Giovanni, a cui lo stesso Berenson, avallando così un certo qual influsso senese in Neri di Bicci, fa risalire l’impianto e l’invenzione3.

 

 

Un’analisi stilistica di questa tavola, certo una delle più interessanti di Neri di Bicci dal punto di vista formale e iconografico, ci porterebbe a esulare dal campo di indagine che ci siamo prefissi; ritorniamo quindi all‘Annunciazione sull’arco di ingresso alla cappella (tav. III), che a nostro parere va messa in relazione con gli affreschi scomparsi e con il ricordo del 12 maggio 1453 che li riguarda.

Questo dipinto, ripassato e integrato durante il restauro del 1888 (le ridipinture interessano i volti dell’angelo e della Vergine, lasciati lacunosi nel restauro contemporaneo, nonché le strisce decorative), ha avuto varie attribuzioni. Il Carocci4 lo ritiene opera di Spinello Aretino, identificandolo con un‘Annunciazione che il Vasari ricorda dipinta dal pittore nella chiesa di S. Trinita, salvo poi a correggere in seguito l’attribuzione, affermando che l’affresco è opera di un pittore più tardo.


1 Comunicazione della National Gallery of Canada. Ottawa (1967).

2 G. POGGI, Le Ricordanze dí Neri di Bicci cit.. 1930. 134, n. 1.

3 B. BERENSON. Quadri senza casa. Dedalo, 1932, 845.

4 G. CAROCCI, Notizie. Restauri a S. Trinita, cit., 127. La correzione è in un articolo seguente: La chiesa di S. Trinita e il suo restauro, Arte e Storia, 1890, 202 sgg.


Il Wulff 1 invece, più verosimilmente, accosta l’Annunciazione allo stile del padre di Neri, Bicci di Lorenzo, affermando con perentorietà che niente, nella pittura, fa scorgere la mano di Neri. Ma l’analisi del Wulff, che rifiuta il frettoloso parallelo del Carocci e che conosceva probabilmente lo stile più tardo di Neri di Bicci, quello delle due tavole con l’Annunciazione e con la Vergine e Santi, esposte anch’esse in S. Trinita, che non gli han permesso d’individuare la mano del pittore nell’affresco, non conclude esattamente. Gli argomenti a favore della paternità di Bicci di Lorenzo sono desunti da un’affermazione che il Richa2 fa a proposito degli affreschi (oggi scomparsi) nell’attigua cappella Compagni, indicati come opera di Bicci di Lorenzo coadiuvato da Stefano d’Antonio Vanni.

 

 

Secondo il Wulff, quindi, va attribuito a Bicci di Lorenzo, quale autore delle pitture interne, l’episodio, affrescato sull’arcone d’ingresso della cappella Compagni, di S. Giovanni Gualberto che perdona all’uccisore del fratello (tav. X); per estensione, gli accorda anche la vicina Annunciazione. Ma con un ragionamento più semplice e conseguente, considerando che, come la cappella Compagni, anche quella Spini poteva presentare un affresco esterno della medesima mano che aveva dipinto sulle pareti interne (un esempio nella stessa chiesa è dato dagli affreschi ancora oggi conservati di mano di Lorenzo Monaco nella cappella Bartolini), si poteva ben giungere alla conclusione che la superstite Vergine annunziata dovesse essere di Neri di Bicci, esistendo la fonte prima di questa paternità nel ricordo del 12 maggio 1453, testimoniante l’opera del pittore sulle pareti della cappella Spini.

Per suffragare ulteriormente di dati questo parere, è necessario un confronto tra questa Annunciazione e una tavola con lo stesso soggetto, esposta attualmente alla parete destra di S. Maria Novella (tav. II), di cui possiamo affermare con sicurezza l’autografia di Neri di Bicci e seguire particolareggiatamente i movimenti 3.

 

 


1 O. WULFF, Unbeachtete Malereien des 15. Jahrhunderts…, cit., 101 sgg.

2 G. RICHA, Notizie istoriche…, cit., III, I, 161.

3 Questa pala d’altare fu tolta dall‘altare dei Bagnesi in S. Remigio nel sec. XVII e sostituita con una tela di egual soggetto di mano di Francesco Morosini. Nel 1842 dalla chiesa passò, con altre opere, alla R. Galleria delle statue. Da qui, nel 1844, alla Galleria dell’Accademia. Attualmente, come si è visto, è in deposito alla chiesa di S. Maria Novella (Cf. G. POGGI, o. c., 1930, 143-144).


Per quest’opera esiste una precisa testimonianza nel diario di Neri di Bicci, ed è la ricordanza del 1 settembre 14551. Benché la composizione sia rovesciata (nell’affresco l’angelo è a destra, la Vergine a sinistra), la tavola presenta elementi di grande somiglianza con la pittura murale. Si noti l’ambiente architettonico, costituito da una loggia a ferro di cavallo dalle arcate aperte verso chi guarda, estremamente semplificato (pilastri lisci, senza capitelli né accenno di basi); il caratteristico inserimento dell’Eterno che invia la colomba entro un semicerchio di cherubini e nuvolette romboidali stilizzate; le piccole teste rotonde e le ali degli angioletti, che sono identiche in entrambe le pitture. Se lo stato di conservazione dell’affresco (lacunoso nei volti della Vergine dell’Arcangelo) ci impedisce di tracciare un preciso parallelo tra i dati somatici delle figure, il modo con cui sono trattati gli altri particolari anatomici ci indica una assoluta identità stilistica tra i due dipinti, benché le pose dei protagonisti siano state variate. Così le mani della Madonna, con le palme larghe e grassocce e le dita affusolate e sottili.

Crediamo quindi che anche questi cenni di confronto tra i due dipinti, accompagnati dalla sicura testimonianza dei Ricordi, possano far attribuire con sicurezza a Neri di Bicci la paternità dell’affresco di S. Trinita.


1 Ricordanze, c. 14r: «A dì primo di setenbre 1455. Tavola tolsi a dipigniere d’Ormanozo Deti. Richordo chome detto dì io Neri di Bicci dipintore tolsi a dipigniere da Ormanozo di Ghuido Deti 1a tavola d’altare quadra e da mona Chaterina donna fu di Xpofano Bagniesi, a l’anticha, di brac(i)a quatro alta e largha 3 1/2, chon predella da pie’, cholonne da lato, architrave, freg(i)o, chornic(i)one e foglia; nella quale ò a fare una Anunziata cho l’angelo e inchasamento e nella predella tre istorie e l’arme mesa d’oro fine e bene ornata e richa sichome una n’è in San Franc(esc)o a San Miniato a Monte e ‘l detto Ormanozo e mona Chaterina mi de’ dare di detta tavola f. venti cinque di sugello e chosì fatto questo dì 20 di dicenbre 1455, la quale à stare in Sa(n) Romeo di Firenze. E intendendosi in detti f. 25 i’ legniame di detta tavola e la dipintura. A’ detti di sopra, a dì 5 di dicenbre, la detta tavola e la chortina dipinta e a dì 17 ebe 1° dosale per l’altare dove istà detta tavola, dipinto a mia ispesa e chosì la chortina: dele quali debo avere f. 2.»


* * *

Un esempio di ricordanza non prodiga di dati, anzi piuttosto laconica per quanto riguarda la descrizione dell’opera, è offerto, nel diario di Neri di Bicci, dalla nota del 9 novembre 1462, dove si parla di un crocifisso in legno dipinto per un vetturale di nome Domenico che abitava o aveva bottega (o rimessa) nei pressi della chiesa di S. Felice in Piazza1. Il Crocifisso era destinato a una chiesa di Strada. Appunto a Strada in Chianti, nella chiesa di S. Cristoforo, è conservato un crocifisso intagliato2 (tavv. VII, VIII, IX), la cui superficie dipinta è, a nostro avviso, da ritenersi opera di Neri di Bicci e da mettere in relazione con la ricordanza citata.

Il Crocifisso è attualmente esposto in un vano sopra l’altare del braccio sinistro del presbiterio, protetto da una grata che racchiude una lastra di vetro, risalente con probabilità al periodo del radicale rifacimento della chiesa, avvenuto nel 1933. Durante la festa dell’Esaltazione della Croce (14 settembre) il crocifisso, che è oggetto di tradizionale venerazione a Strada, viene staccato dalla croce di legno cui è abitualmente appeso, ed esposto all’adorazione dei parrocchiani nel centro della chiesa, dopo esser collocato su un altro supporto.

Lo stato di conservazione dell’opera è tutt’altro che buono: la superficie è completamente intarlata, specialmente all’altezza del petto, e la mano sinistra, corrosa, è ormai mutilata di una delle dita, per buona sorte recuperata e in attesa, quindi, di un restauro che la ricomponga e risani contemporaneamente le condizioni dell’intera scultura. La qualità della scultura ci sembra buona, senza raggiungere tuttavia alto valore artistico: vi è una certa finezza d’intaglio e l’anatomia è attenta, anche se non mancano semplificazioni e simmetrie astrattive: in definitiva, un’eco arcaizzante in un’opera di caratteristiche generali rinascimentali.


1 Ricordanze, c. 81r: «Martedì a dì 9 di novenbre 1462. Crocifisso di Domenicho veturale. Richordo ch’el detto dì feci patto e preg(i)o chon Domenicho vetturale a San Felice in Piaza d’uno crocifisso grande di rilievo ch’io gli dipinsi cholla croce, chorona. a tute mia ispese, c(i)oè di chose apartenenti alla pitura; d’achordo mi de’ dare f. sei larg(hi) ed i’ gli ò a tigniere el chanpo di detto crocifisso dirieto di nero, in quello modo e forma che istà quello feci a San Ghag(i)o fuori della Porta a San Pero Ghatolino; el quale crocifisso vole pure nella chiesa f. 6 l(a)r(ghi) di S. […] a Strata e chosì d’achordo fatto e detto di lo mandò in detto luogho. Posto de’ dare a libro D a c. 90. »

2 Il Crocifisso è stato pubblicato da M. LISNER (Holzkrucifixe in Florenz und in der Toskana…, Miinchen, 1970, 60, nn. 53-54). Non vi sono però cenni a una possibile attribuzione della superficie dipinta: l’intaglio è avvicinato a quello del Crocifisso conservato nella Sagrestia Vecchia di S. Lorenzo. Si afferma inoltre che con questa opera siamo ormai verso la metà del secolo.


E’ necessario notare come proprio questi due elementi entrino anche nella definizione — schematica ma esauriente — della pittura di Neri di Bicci. Siamo dunque, pur fermandoci a considerazioni di carattere generale, in un clima figurativo analogo a quello che è familiare al nostro pittore. Esaminando il Crocifisso, osserviamo che il perizoma che copre i fianchi del Cristo e si modella in stretta aderenza alla parte superiore delle gambe è in cartapesta; anche se poco visibili nella riproduzione fotografica (lo sono invece in una vecchia fotografia della Soprintendenza alle Gallerie di Firenze e ciò testimonia la progressiva e rapida degradazione della superficie dipinta del crocifisso) e ormai consunte al punto da non lasciar intravedere che qualche sporadica traccia di doratura, lo percorrono due liste verticali dorate. Esse sono composte da quei motivi decorativi di fantasia che richiamano lettere di alfabeti orientali, e sono impropriamente perciò detti « cufici ». La grande aureola dorata è decorata a zone, delimitate da strisce o raggi punzonati a rosette. Le chiome ad intaglio sono proseguite sulle spalle da tratti dipinti. Negli spazi più vasti della decorazione dell’aureola appaiono motivi vegetali e geometrici a girarî e fogliami. Il tabellone di color rosso, quasi sicuramente ripassato, reca le lettere dorate INRI separate da piccole stelle.

Molti particolari della superficie dipinta di questo crocifisso si riscontrano in opere analoghe eseguite su tavola da Neri di Bicci.

 

 

La più vicina, sia nella figura del Cristo, che presenta identità da definirsi addirittura ‘plastiche’ col rilievo del Crocifisso di Strada, sia per la vicinanza cronologica di esecuzione, è la Trinità (tav. V) della sagrestia di S. Croce, che già il Milanesi 1 aveva identificata nella pala dello stesso soggetto rammentata nelle Ricordanze alla data di lunedì 17 luglio 1461 2, commissionata da Bartolommeo Cederni e destinata alla chiesa di Badia.


1 G. VASARI, Le vite …, cit., 80.

2 Ricordanze, c. 70r: «Lunedì a dì 17 d’aghosto 1461. Cholmo di Bortolomeo Cederni. Richordo ch’el sopra detto di i’ ò tolto a dipigniere, metere d’oro da Bartolomeo Cederni l° cholmo di bracc(i)a cinque incircha alto e llargho bracc(i)a tre incircha, tondo di sopra e chogli sghuanci e dua cholonne tomde da lato di tuto rilievo; di sopra chornici intagliate e di sotto una predella e sotto una ghocc(i)ola intagliata orevolc, nel quale volc una Trinità e dua Santi da ogni lato; tuto messo d’oro fine e lavorato d’azuro oltramarino acetto lo sghuanc(i)o; tuto ornato e fatto diligenteme(nte) ad ogni mia ispesa acetto legniame, del quale non è fatto patto. Ebi e’ legniame da «Giuliano di Nardo da Maiano legniaiuolo nella via de’ Servi el detto dì. El quale cholmo detto Bartome(o) volo istia nella Badia di Firenze. Posto de’ dare a libro D a c. 80.»


La nostra attenzione si posa sulla sola figura del Cristo. Essa ci appare come una trasposizione su uno spazio a due dimensioni (quello della tavola) del Crocifisso di Strada. Identica è la posa, con la testa leggermente inclinata in avanti verso sinistra; identico l’angolo di incidenza che l’asse dell’aureola forma col legno della croce; simile infine la struttura anatomica del Crocifisso. Si notino i rilievi delle ossa dello sterno, delle costole, la partizione dell’addome, che ricorrono identici nelle due opere; il perizoma che si stende immediatamente sotto la curva del ventre e, aderendo alle gambe, scende fino appena sopra il ginocchio. Infine, la banda decorativa a caratteri cufici.

Ma le identità non sono esclusivamente ‘plastiche’, come quelle che abbiamo tenuto a illustrare finora, e che potrebbero far pensare che Neri di Bicci, dipingendo su tavola il Cristo crocifisso, abbia avuto presente un crocifisso scolpito identico a quello da noi preso in esame, oppure che il suo intervento pittorico sulla scultura abbia finito per operare un processo di assimilazione tra pittura e rilievo.

Altri elementi comuni ricorrono nei due lavori, e concorrono ad affermare la paternità di Neri di Bicci sulla superficie dipinta del Crocifisso di Strada. Sono considerazioni sul trattamento pittorico di particolari anatomici e su caratteristiche decorative secondarie ma non per questo meno probanti nello stabilire ulteriori testimonianze a pro dell’intervento dello stesso pittore sulle due opere. Inoltre, i parallelismi e i confronti si possono estendere anche ad altri lavori di Neri di Bicci: diciamo, più in generale, che esse formano quei caratteri tipici delle figure di questo pittore, che lo rendono immediatamente riconoscibile nelle numerose pale d’altare da lui eseguite.

Il suo ‘segno’ sul Crocifisso di Strada è certamente più difficile a scorgersi, considerato anche il cattivo stato di conservazione della superficie dipinta e il fatto che essa sia un dato in un certo senso accessorio — quindi meno evidente —rispetto all’elemento, che è primario in lavori del genere, dell’intaglio.

Comunque, per iniziare il discorso su tali particolari, vediamo che il modo con cui son espresse le pieghe che si dipartono dall’occhio, segnate con tratti pesanti, scuri, a raggera, si ritrova in tutti i volti delle figure dipinte da Neri di Bicci. Ancora, le vene dell’avambraccio, fortemente chiaroscurate, sono le stesse di altri crocifissi eseguiti dal pittore, tra cui anche quello di S. Croce.

 

E la punzonatura dell’aureola, con quelle strisce decorative seminate di rosette minute (tav. VIII), i girarî che emergono con l’evidenza di un rilievo dal fondo fittamente e finemente puntinato, può esser facilmente raffrontata alle aureole che comunemente accompagnano le figure delle sue tavole. Si confrontino infatti i motivi vegetali di questa aureola con quella del Cristo crocifisso nella pala di S. Francesco di Fiesole (tav. VI) 1.

 

 

Non vi saranno difficoltà ad ammettere che la mano di chi ha « messo d’oro » l’aureola del Crocifisso di Strada sia la stessa della tavola fiesolana. E sempre dalla Crocefissione di Fiesole scaturiscono elementi che accrescono i motivi di conferma della paternità di Neri di Bicci sulla pittura della Croce di Strada: si noti la tabella con gli acrostici I.N.R.I., con l’identica forma della R e le stelline che qui son poste all’inizio e alla fine dell’iscrizione, mentre là separano ogni parola, ma che sono certo opera di una medesima mano.


I Il Milanesi (VASARI, Le vite… cit., 80) aveva già identificato questa pala d’altare con quella dipinta da Neri di Bicci per Amato (erroneamente letto Matteo dal M.) di Piero Squarcialupi e destinata alla chiesa di S. Francesco (S. Salvatore) a Monte alle Croci. Cf. Ricordanze, c. 92r: «Lunedì a di 12 di marzo 1463 (1464 s. c.). Tavola di ‘Mato iSquarcc(i)alupi. Richordo ch’el sopra detto dl tolsi a dipigniere d’Amato di Piero iSquarcc(i)alupi una tavola d’altare, la quale à stare in Santo Franc(esc)o da Sa(n) Miniato a Monte fuori di Firenze, la quale tavola è fatta e formata in questo modo, c(i)oè a l’anticha, chon predella da pie’, cholonne a chanali da lato e quadro in mezo e di sopra architrave, freg(i)o e chornic(i)one, nella quale ò dipigniere in mezo uno crocifisso cholla Vergine Maria da una parte e dall’altra Santo Giovanni Batista (corretto in:) Vangelista e più altri Santi e Sante chome a lui parà o piacerà e da pie’ nella predella tre istoriette e l’arme; messa d’oro fine tute le parti dinanzi e da’ lati d’oro di metà e lavorata di buoni e fini cholori e tuta bene ornata e fatta; e di poi fatta, se ne de’ fare preg(i)o e chosì fatto d’achordo chon detto ‘Mato detto dì e Bernardo iSquarc(i)alupi. A dì di mag(i)o 1464 mi fe’ dare detto ‘Mato la tavola del legniame a Giuliano da Maiano legniaiuolo. Richordo che a dl 6 febbraio 1464 (1465 s. c.) feci patto cho ‘Mato sopra detto della sopra detta tavola: d’achordo 1. 190 me ne de’ dare I. cento novanta; funne mezano Bernardo iSquarc(i)alupi detto dì a sua ispese di legniame. Posto de’ dare a libro D a c. 102.»


Caratteristica di altre iscrizioni presenti in tavole d’altare del pittore è la N maiuscola con tratto obliquo che presenta una gonfiatura semicircolare: ciò che troviamo nella N della tabella nel Crocifisso di Strada. Gli elementi che riconducono a Neri di Bicci la pittura di questo crocifisso sono pertanto numerosi, tanto da far relegare in secondo piano gli scarsi dati della ricordanza relativa, che tuttavia mantiene sempre, nell’indicazione, un ruolo importante per l’identificazione dell’opera. Occorreva naturalmente poter mettere in relazione con sicurezza la mano di Neri di Bicci, comprovata da numerosi lavori, con le vestigia di coloritura conservate sul Crocifisso.

Questo era possibile solo se si affrontavano i problemi connessi con frequenti paragoni ad altre opere del pittore, limitati ai particolari per le caratteristiche stesse del lavoro, e quindi forzatamente disorganici. Ma il peso delle Ricordanze può venir fuori con ancor maggiore evidenza, se passiamo a formulare ipotesi sull’autore della parte lignea del Crocifisso.

Come si è già visto, i nomi di coloro che, rammentati nelle Ricordanze, hanno eseguito lavori in legno per Neri di Bicci, sono solo quattro: Giuliano da Maiano, don Romualdo abate di Candeli, Luca di Paolo Mannucci e Zanobi di Domenico. Di essi, solo il camaldolese don Romualdo gli ha intagliato crocifissi 1. La probabilità quindi che la scultura di Strada che ha come termine ante quem il 9 novembre 1462, data in cui essa viene trasportata nella chiesa della località chiantigiana; che ha quindi un’agevole collocazione tra i crocifissi in legno eseguiti per Neri di Bicci tra gli anni estremi del suo diario — 1453-1475 — che sappiamo non esser stati riferiti dal pittore se non a don Romualdo, sia di mano di questo ancor ignoto camaldolese, ci sembra avere motivate ragioni per sussistere.


1 Cf. Ricordanze, c. 20r, 16 gennaio 1455 (1465 s. c.): un crocifisso per don Mariano di S. Felice in Piazza; c 22r, 28 febbraio 1455 (1456 s. c.): tre crocifissi da dipingere; c. 23r, 3 aprile 1456: due crocifissi con le braccia incernierate; c. 70v, sabato 12 settembre 1461: un tabernacolo con un crocifisso per l’abate di Camaldoli; c. 127r, martedì 14 luglio 1467: un crocifisso con le braccia incernierate per un convento camaldolese nelle Marche; c. 145r, 11 settembre 1469: sette crocifissi insieme con altri lavori d’intaglio, dati a vendere a Neri di Bicci; c. 172 r, 19 marzo 1471 (1472 s. c.): un crocifisso per l’abate di S. Maria a Morrona; c. 172r, sabato 21 marzo 1471 (1472 s. c.): un crocifisso con altri lavori venduti a Neri di Bicci.


La conferma di un’ipotesi del genere potrebbe esortare a tentare il reperimento e l’individuazione del gruppo di crocifissi ricordati da Neri di Bicci e alla definizione più precisa della personalità artistica di questo monaco-scultore. Anche in questo caso, il contributo che possono dare le Ricordanze si imporrà come determinante nel proseguimento della ricerca: i dati che esse posseggono, infatti, sono fruibili in prospettive e direzioni molteplici.

Ciò che hanno reso possibile nella ricostruzione dell’attività e della figura di Neri di Bicci potrebbero ripeterlo, sia pure in misura minore, per le personalità che con lui hanno collaborato.

 

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